19 settembre 1979

By proruscio

Ancora una volta la terra ha tremato. Il sisma ha portato la devastazione, il dolore nella terra umbra. Terra sismica da sempre.
Erano le 23:20 del 19 settembre 1979 quando un terremoto di 5.9 gradi di magnitudo (nono grado della scala Mercalli), lungo oltre 30 secondi, rase al suolo alcune frazioni del casciano e del nursino, facendo danni ingenti in tutta la Valnerina.

I container, 1980 circa
(foto Renato Peroni)

Dopo la scossa principale si registrarono delle vittime, alcuni feriti e migliaia di sfollati.

A Norcia venne quasi completamente distrutto il cinquecentesco Santuario della Madonna della Neve. L’evento fu di tale entità e intensità da essere avvertito in tutta l’Umbria ma anche nelle Marche, in Abruzzo e nel Lazio. A Roma subirono lesioni anche monumenti come il Colosseo e l’arco di Costantino.

Sono trascorsi 35 anni da allora e sicuramente il paese non ha dimenticato.Trenta secondi sono lunghissimi, non passano mai quando senti un lungo tuono, un sibilo di vento, queste sono le sensazioni uditive che lascia una scossa di terremoto.

Quella sera, come tutte le sere, gli uomini si ritrovavano al bar da Carola ed erano ancora lì quando un tonfo secco fece pensare che Giovanni Carassai avesse preso in pieno con il suo camion la parete esterna dell’edificio tanto da farlo tremare e far cadere tutte le bottiglie sistemate sulle mensoline di vetro. 
Non si realizzò subito che potesse essere stato il terremoto.
E poi il panico per quello che si stava vivendo e il fuggi fuggi: Napoleone preoccupato per la mamma sola in casa scappò via mentre i coppi del tetto della chiesa di S. Antonio e delle case vicine cadevano giù.
In piazza trovò Nicolina che piangeva il figlio Pino, si scoprì poi che lo piangeva per quello che sarebbe potuto succedergli perché sul suo letto (ma quella sera non dormì lì) era caduto parte del solaio.
“Ero da Giovanni anch’io –racconta Fulvio- e sentimmo questo sconquasso sordo e profondo che ancora sibilava quando, scappato di corsa, arrivai a casa. Anna era incinta di Guido”.
Così lunga è la percezione di quegli attimi.
Maddalena e Sandro Cioccolini abitavano in quel periodo nella casa di Isidoro Peroni, casa ora sede della nostra proloco.
“Avevamo raccolto le patate quel giorno –racconta Maddalena-  avevamo fatto tardi ma a quell’ora dormivamo. Daniele, il più piccolo, con noi e Marco e Sabrina nell’altra stanza.
E poi quella lunga scossa preceduta dal tuono sordo, rumore di stoviglie e calcinacci, da farci rizzare dal letto, prendere frettolosamente i bambini avvolti in una coperta e scappare fuori mentre il solaio di una parte della casa era venuto giù con tutti i mobili della stanza. Abbiamo raggiunto l’ara dove abitavano mio padre Mansueto e mamma, Ada, e ci siamo radunati tutti insieme lì. A noi si unirono Peppe e Irma, Flavia e altri che abitavano nel vicoletto. La luce era andata via, faceva freddo e così accendemmo il fuoco per poterci scaldare. Seguirono poi altre scosse, più leggere.

Il momento tragico ci unì, rimanemmo insieme e insieme ci facemmo coraggio cominciando a scherzare e fare battute.
Mangiammo addirittura le patate cotte sul fuoco. In questo modo trascorremmo la notte. Per dormire Sandro attrezzò un letto sul rimorchio e passammo lì le notti seguenti finché non arrivò l’esercito con le tende prima, le roulotte poi.

Le tende dell’Esercito—1979
(foto Pina Marchetti)

In seguito furono allestiti i containers nella piana dei Cicchetti a Ruscio di sopra, vicino al fossato”.

Seppur senza grossi danni o crolli, lo scenario di impotente paura si ebbe anche al Colle dove le famiglie si riversarono fuori all’aperto, anche qui un fuoco per riscaldarsi e fare luce. Poi, quando tutto sembrò passato, dopo un caffè offerto da Lisa Salvatori, ognuno rientrò in casa propria.
Sempre Maddalena racconta che Giovanni Carassai passata la forte scossa fece il giro del paese, casa per casa, per accertarsi che non ci fossero stati morti o feriti gravi e che la situazione fosse sotto controllo.
I danni maggiori li subirono le case più vecchie del paese, quelle che ancora avevano i solai con travi di legno, tavole e mattoni fissati appena con un po’ di calce nella parte soprastante. 

I ricordi di quella tragica serata sono stati molti e tutti accomunati da un fuoco all’aperto per riscaldarsi e fare luce, fuochi fatti in diversi punti del paese come punti di raccolta.
Le tende e i containers a Ruscio rimasero per sette – otto anni, finché non si riuscì a ripristinare le proprie case. I trentenni/trentacinquenni di Ruscio sono nati nelle ‘casette’ dove la vita sicuramente ha avuto grossi svantaggi, troppo caldo d’estate, troppo freddo e gelo nei mesi invernali.

Natale 1979 all’Asilo
(foto Pina Marchetti)

L’opera di ricostruzione comportò grossi problemi e difficoltà spesso non superabili senza aiuto. Innanzitutto la difficoltà prima, quella dell’interpretazione della legge. Poi, una volta avviata la pratica, la necessità di una consulenza che permettesse di seguirla passo passo facendo slalom tra lungaggini e speculazioni.

Ma nella tragedia scatta la solidarietà del momento. Normalmente le nostre vite invece, vanno per conto loro, sono vite anti-solidali, dissociate, individualizzate. Fu proprio in quegli anni che maggiormente si ebbe la voglia di stare di più insieme, preoccupandosi soprattutto per i più piccoli. E’ in quegli anni infatti che vennero organizzate serate e feste all’asilo, soprattutto nel periodo natalizio. Tutti i racconti che mi sono stati fatti hanno un comune filo conduttore, tutti hanno detto di come si ritrovò la voglia di stare insieme e la preoccupazione sollecita del vicino.