Parlare delle tradizioni e abitudini passate non è una forma di nostalgia, ma un modo per farle conoscere e trasmetterle ed evitare che svaniscano nel tempo.
Immaginare le galline libere per le strade di Ruscio, sembrerebbe fantasia ed invece era realtà, libere di entrare e uscire dal pollaio, di affacciarsi sugli usci delle porte di casa, (tranquillamente aperte), di affrontare e difendersi dalla esuberanza del gallo, tutto ciò senza il timore del traffico. Questo accadeva circa una quarantina di anni fa.
Al canto del gallo, loro coinquilino, si svegliavano e poiché la porta dello “stallittu” rimaneva sempre aperta con un buco laterale, potevano uscire liberamente e cominciare a razzolare, di primo mattino, per tutto il paese.
La ricerca del nutrimento durava tutta la giornata, senza interruzione. Tra i luoghi più frequentati c’era il Fossato (quando era in secco), poiché era lì che si buttava l’immondizia, non essendoci né i cassonetti né la raccolta con i camion, e queste immondizie potevano essere una buona occasione, visto che le galline sono famose per essere di becco buono. Ma non c’era molto. Infatti gli scarti alimentari, in genere, finivano tutti nel secchio della “introccata” del maiale, che era una specie di ripulitura generale: la scolatura della pasta, le bucce delle patate, la capatura della verdura e delle frutta. Tutto dentro al secchio, che aggiunto alla semola, diventava il pranzo per “lu purchittu”.
Le galline, invece, il cibo se lo dovevano cercare, e per fortuna loro, non tutti avevano il maiale, così, specialmente in estate, quando venivano i villeggianti, aumentavano le immondizie e c’era una maggiore quantità di residui commestibili. Esse vagavano verso gli orti e gli alberi da frutto a racimolare qualche residuo di pomodori o mele cadute dalla pianta, o avanti le porte delle case alla ricerca di qualche mollica. Se poi era tempo di mietitura un po’ di chicchi di grano li rimediavano sicuramente. E giravano e andavano e su e giù e avanti e indietro, libere nell’incontro con il tempo e con la natura.
Il gallo dominava costantemente le sue pollastre e quando era tempo di “nido” onorava il suo ruolo. Le galline covavano, accovacciate sopra le uova “ingallate” (fecondate), per tenerle calde, per 21 giorni. Qualche volta, per tenerle più calde, le donne le poggiavano tra i propri seni. Arrivata la scadenza le uova si dischiudevano. E, dopo qualche giorno, si assisteva ad una scena veramente tenera. La chioccia, con tutto il suo seguito di pulcinetti gialli, attraversava incurante strade e piazze, dondolante, quasi con orgoglio, per la propria progenie. Nulla poteva scoraggiare la loro passeggiata!
Comunque, la cosa carina era che, al calar del sole, riecheggiava nel paese il grande richiamo: “Chira chira chira”, “Chirette, chirette chirette”. Ognuno richiamava le sue galline, e ogni gruppetto, guidato dal proprio gallo, riconoscendo la voce familiare, riemergeva dai vari siti e si dirigeva affrettato verso il proprio pollaio. Prima di entrare però, veniva data loro una buona dose di grano o granturco, specialmente di granoturco, che migliorava il sapore ed il colore del tuorlo dell’uovo…..del giorno dopo.
Sole calato, stomaco riempito, buona notte galline!