Nello svolgimento del Progetto di Servizio Civile Nazionale della Pro Ruscio e della Pro Trivio, io e le altre volontarie incontravamo diverse difficoltà nel cercare di reperire testimonianze, non tanto da parte di Enti vari, che il più delle volte accoglievano con entusiasmo la nostra richiesta di collaborazione ma soprattutto tra i monteleonesi, un pò per reticenza, un pò per impegni, o solo per la difficoltà di trovare del tempo…
Paradossalmente, risultava più difficile parlare con la gente che fare una ricerca in archivio.
Raffellino e la moglie nel recente viaggio in USA
Mia madre mi riferì di aver incontrato Raffellino (Raffaele in realtà, ma a tutti è noto così), il quale, essendo a conoscenza del lavoro sull’emigrazione di cui ci stavamo occupando, era intenzionato ad incontrarci quanto prima, anzi aveva già fissato un appuntamento a casa mia per quella domenica pomeriggio (tipico di un personaggio così intraprendente).
Riunisco le altre, stupita che stavolta fosse stato tanto facile e incuriosita dalla storia che ci doveva essere raccontata con tale imminenza. Il nostro ospite speciale suona alla porta, lo salutiamo tutte con un sorriso cordiale e un leggero imbarazzo, disposte a cerchio sul tavolo della sala, carta e penna alla mano.
Raffellino è un personaggio storico, quasi mitico del nostro paese, è stato un pioniere della banda, ed è lì che la maggior parte di noi lo ha sempre visto, in piedi con il suo atteggiamento austero dietro la cassa, che di tanto in tanto viene rotto da una battuta inaspettata, seguita da un sorriso accennato appena sulle guance scavate.
Cerco di sciogliere il senso di soggezione di noi volontarie per questo confronto a tu per tu senza precedenti, chiedendo a Raffaele se vuole qualcosa da bere ,un bicchiere di vino…prima di cominciare. Lui domanda garbatamente un succo di frutta e decide per iniziare subito. Una di noi prova a fare la prima domanda seguendo la lista ma con Raffellino ci appare subito chiaro che il solito schema non funziona.
Comincia a raccontare a ruota libera, noi lo interrompiamo a tratti per capire meglio o per finire di scrivere, data la concitazione degli eventi che ci narra a cascata.
Esordisce dicendo che la sua non è una storia comune, è singolare e anche per questo deve essere scritta, non può essere dimenticata. Suo nonno Francesco Giovannetti (un figlio di Raffellino porta il suo nome) toccò per ben sei volte il suolo americano.
La prima volta rimase a Trenton dal fratello Giulio che si trovava già lì, per ben due anni, lavorando nelle ferrovie dopodichè il giovane Francesco mosso dalla nostalgia di Monteleone s’imbarco per l’Italia. In patria prese in moglie Benedetti Assunta e non fece neanche in tempo a sposarsi che le circostanze lo costrinsero ben presto a tornare in America, stavolta però accompagnato dalla consorte. In USA nacquero Giuseppe (detto Giosy il 26/02/1901) e Alfredo (nato il 5/01/1903, il padre di Raffellino).
La grande passione: la Banda di Monteleone
Raffaele parla a braccio e con intensità di una storia sentita e risentita dal nonno, dal padre…di cui si sente far parte ,a un certo punto tira fuori un foglietto sgualcito su cui sono appuntate meticolosamente tutte le date importanti e deciso a dare validità al suo racconto ce le legge e ci sprona ad annotarle.
Francesco tornò di nuovo in patria con tutta la famiglia e a Monteleone nacque l’11/06/1905 l’ultima figlia: Anna Giovannetti (poi mamma di Settimio). Partì per la terza volta nel 1907, la permanenza però duro poco, solo 1 o 2 anni.
Tornò e parti nuovamente per la quarta volta per restare a Trenton appena un anno. Lascio la patria per la quinta volta da solo e una volta in America chiese a moglie e figli di raggiungerlo (due dei tre figli erano cittadini americani naturalizzati, perchè nati in USA) ma ad Assunta venne dapprima impedito di lasciare il suo lavoro di domestica per la benestante famiglia monteleonese dei Rotondi, presso la quale prestava servizio da tempo.
Assunta non cedette e chiese insistentemente di essere lasciata libera di andare, così i Rotondi sembrarono convincersi. Le promisero che si sarebbero occupati loro di inviare il passaporto al consolato di Napoli, dal cui porto Assunta si sarebbe dovuta imbarcare per l’America. Raffaele ci racconta con tono commosso come la nonna decise con coraggio di raggiungere Napoli a piedi, insieme ai tre figli ancora bambini. Giunta a destinazione attese invano con speranza e ostinazione che il consolato di Napoli le rilasciasse il passaporto.
Per 12 lunghi giorni aspettò a Napoli, dormendo di notte su una panchina insieme ai figlioletti, finchè non le comunicarono al consolato che il passaporto non era mai arrivato. Francesco allora ricevette la lettera della moglie che lo aggiornava sui fatti, quindi scelse di lasciare definitivamente l’America per raggiungere in patria la sua famiglia. Il destino volle riportare negli USA Francesco una sesta volta dato che la sua nave s’imbatte nella sciagura del Titanic, e dovette invertire la rotta per soccorrere i naufraghi superstiti e portarli in salvo sul suolo americano. Francesco impiegò un mese e mezzo per tornare definitivamente in Italia. Raffaele ci parla dei suoi ricordi d’infanzia, ci dice del padre Alfredo (figlio di Francesco) che aspettava i pacchi dal cugino Romeo (figlio di Giulio) che arrivavano puntualmente dall’America, contenenti una lettera, un dollaro, riso e caffè.
Ricorda che nell’ultimo pacco ricevuto c’erano 5 dollari. Una volta accertatosi che abbiamo capito tutto esattamente, ci dice che deve andare, noi lo salutiamo ringraziando in coro, ci saluta con un sorriso soddisfatto, quasi a dire: “Ho fatto il mio dovere”.
Oggi rivedendo a distanza nella mia mente quell’incontro capisco l’urgenza e l’importanza di raccontarci quella storia, Raffellino era consapevole della responsabilità che aveva nel sapere quei fatti che dovevano essere narrati, che non dovevano morire con lui. Voleva affidare questa preziosa eredità ricevuta : la storia antica di semplici e coraggiosi monteleonesi di cui egli stesso faceva parte come ultimo anello, a noi: delle giovani compaesane.
Quel giorno ho compreso che il lavoro che stavamo facendo era importante, che stavamo ricevendo nelle nostre mani le storie, il passato, le radici della nostra gente. E ora la responsabilità del dono è la nostra, ora tocca a noi raccontare.
Da quel giorno è passato più di un anno, oggi Raffellino non c’è più. Lui non ha mai dovuto lasciare il suo paese d’origine, anzi ha avuto la fortuna di passare un’intera vita qui, a Monteleone che tanto ha amato e un pò anche maledetto, come tutti noi. Ha avuto la possibilità di lasciare nella banda un segno forte del suo passaggio, in primis con la folta presenza dei suoi diretti discendenti. L’ultima immagine che ho riguarda uno dei pochi allontanamenti di Raffellino dal suo paese: me lo ricordo appoggiato ad una finestra del Silvestrini con la sigaretta in mano e il pigiama… malediceva Perugia e i medici che lo tenevano prigioniero da più di 20 giorni, doveva sbrigarsi a tornare a Monteleone.
Non molti anni fa il passaporto di Assunta fu rinvenuto in una cassapanca nella casa della famiglia Rotondi.
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Gli antenati di
Raffaele
Giovannetti
Alfredo 1900
Francesco 1866
Giuseppe 1834 circa
Francesco 1799
Bernardo 1773
Giovampietro 1732
Bernardo 1700
Reale intorno al 1660
(ricerca svolta da
Marco Perelli)