Non tutti sanno che quell’oggetto misterioso che troneggiava sull’acquario della cucina delle nostre nonne e che, di Pasqua specialmente, veniva ripulito con tenace accuratezza fino a farlo splendere come oro, ha una sua storia.
La conca: una compagna inseparabile ed umile delle nostre contadine, a volte, l’unico bene prezioso dentro una cucina.
Chi si fosse trovato a passare, tempo fa, a Roma nel popolare rione di Regula, oltre che al miagolio dei gatti in cerca di lische di pesce nel Portico di Ottavia, sarebbe stato colpito dall’assiduo e monotono rumore dei magli che battevano il rame.
Era questa il regno dei ramari (caccabellis)*. Da qui partivano la maggior parte degli utensili che venivano venduti in tutte le fiere o sagre paesane del Lazio.
Roma ha una antica tradizione per la lavorazione del rame (vedi la Cista Ficoroni) e la presenza di motivi geometrici decorativi e la particolare sagomatura fanno pensare ad una origine della conca non certo vicina.
La sua forma non è dovuta all’estro o alla bizzarria di un artigiano; ma risponde a determinate esigenze sia di trasporto, sulla testa o con le braccia, sia di equilibrio, senza pericolo di caduta, data la larghezza della base e la conformità del collo oltre, s’intende, alla maestria delle nostre donne.
Per tradizione esistono due tipi di conche: quella chiamata laziale che aveva il centro a Roma ed in altre cittadine del Lazio come Tivoli e quella abruzzese, al quale si distingue dalla prima per la sua forma più tozza, per l’abbondanza delle decorazioni e per l’assenza del labbro.
La conca con il suo inseparabile "sorello" (lu maniere) era il dono preferito per la sposa: il simbolo di una propria autonomia e responsabilità. Ben lungi dal compito cui e stata relegata, oggigiorno: portaombrelli in un’ombra della sala, frammento di tradizioni contadine dentro palazzi grigi della città e, a volte, rumoroso "richiamo" nei mercati di cianfrusaglie.
*S.Maria in caccabellis o baris.