"Poi gli dissero,
tutto quello che hai visto ricordalo
perché tutto quello che dimentichi
ritorna a volare nel vento"
Versi di un canto Navajo
Si chiamava Pavao Gracanin fu Stevan e fu Ruza Svetnician, ed era croato di etnia serba
…E voglio qui riportare la sua storia che ci è stata raccontata dai suoi figli Rosina e Stefano, con gli occhi pieni di commozione mentre ci parlavano del padre fuggitivo dal campo di concentramento di Bastardo.
Inaspettatamente a metà agosto scorso vengo contattata da Rosina Grakanin, che ha saputo dal TG della mostra a Ruscio sui campi di prigionia in Umbria. Ne è particolarmente interessata poiché il padre, un ex prigioniero iugoslavo, è stato nel campo n°115 di Bastardo e spera di recuperare da noi delle notizie. Aggiunge nella mail che avrebbero avuto piacere, lei e il fratello, a farci visita al paese, avrebbero portato foto e documenti.
E così è stato.
Documentazione e fotografie provenienti dall’archivio della Famiglia Grakanin
La consultazione del materiale, trovato da loro per caso solo pochi mesi fa, che generosamente ci hanno offerto e messo a disposizione, è utile per portare al centro della grande Storia dei testi anche le vicende cosiddette minori e personali dei suoi protagonisti invisibili che stanno quasi sempre sullo sfondo, ignorati.
Pavao Gracanin, nato a Topusko, nel borgo di Stare Selo, viveva con la sua famiglia nella Krajina, un lembo di terra croata riservato ai serbi. Ex sergente di finanza, fu fatto prigioniero a Trebinje il 20 aprile 1941 e integrato nel campo di Grumello Lallio il 20 giugno. Fu trasferito al campo 145 il 28 luglio del ’42, poi, quando il campo viene sciolto "per avvenuta cessazione dell’impiego dei prigionieri di guerra presso il cantiere della Società Anonima Terni di Poggio Cancelli, Campotosto" (da scheda www.campifascisti.it), fu rinchiuso a Morgnano il 30 novembre ’42 e nel marzo del ’43 a Bastardo dove rimase fino all’8 settembre.
E’ proprio a Morgnano che deve essere stato testimone della visita del Nunzio Apostolico Francesco Borgoncini, lo stesso Nunzio Apostolico del Quaderno sul campo di prigionia di Ruscio: infatti tra le ‘carte’ portate da Rosina e Stefano Grakanin c’è anche il santino della Madonna del Perpetuo Soccorso che il Borgoncini distribuì in visita ai prigionieri dei vari campi umbri con il messaggio del Santo Padre in lingua serba.
Immagine Sacra consegnata dal Nunzio Apostolico Card. Borgoncini Duca ai prigionieri slavi del Campo di Prigionia di Bastardo
(Arch. Fam. Grakanin)
Durante la sua prigionia riuscì ad avere contatti con la sorella che in una lettera lo informava dell’uccisione del padre e dei fratelli da parte degli Ustascia.
Dopo l’invasione italo/tedesca della Jugoslavia, e all’indomani della creazione dello stato indipendente di Croazia da parte del loro leader Ante Pavelic, gli Ustascia, infatti, applicarono immediatamente la cosiddetta "pulizia etnica" facendo strage dei serbi. La loro ferocia non fu da meno di quella delle SS. Organizzarono anche un campo di sterminio a Jasenovac e l’abisso di odio che divideva le due etnie si approfondì sempre più.
Pavao era convinto che anche finita la guerra quest’odio non sarebbe calmato e decise quindi di tagliare col suo passato e di non tornare più.
Mi piace vedere nelle vicende che incontro l’aspetto umano e immaginare Pavao, per noi Paolo, sbandato per le montagne umbre a lui straniere, fuggitivo dal campo dove era stato prigioniero fino all’alba dell’otto settembre ’43, quell’otto settembre che tanti altri ha visto sbandati su e giù per il Bel Paese.
Si può ipotizzare confrontando e collegando la documentazione che da Bastardo fuggì raggiungendo Spoleto, Ferentillo e oltrepassati i monti si ritrovò a Sigillo di Posta passando per il Leonessano, dove in quel periodo operava la banda partigiana di "Tosi".
Furono molti i prigionieri fuggiti dai campi che si aggregarono alle formazioni partigiane e anche Pavao collaborò, come si rileva da una dichiarazione dell’Associazione Nazionale Partigiani del Comitato Provinciale di Rieti, proprio con il gruppo di "Tosi" dal 1 ottobre ’43 al 16 giugno ’44.
A Sigillo Pavao fu ospitato e nascosto da Carmine Confaloni al quale il Comando Supremo delle Forze Alleate rilasciò un certificato quale attestato di gratitudine e riconoscimento per l’aiuto dato.
Instaurò con questa famiglia legami così forti tanto che, confidando il nascondiglio dei suoi documenti ed effetti personali, si fece promettere di recapitare tutto ai famigliari in Croazia se mai fosse stato fatto prigioniero o ucciso e in cartoline scritte in anni successivi si rivolgeva a tale Carmine con “Carissimo padre…”
In quel paesino conobbe il suo amore, Giuseppina Renzi, con cui si sposò il 5 febbraio 1945 e sempre a Sigillo, dopo essersi adattato a qualsiasi lavoro, fu assunto come meccanico di frantoi presso l’ANAS sul Monte Terminillo e poi trasferito a Orvieto.
Era comunque atteso nel suo paese, ma lui non volle tornare per paura, probabilmente, di una qualche ritorsione, cambiò nome e registrò i suoi figli come Grakanin. Aveva deciso di rimanere nel nostro paese.
Attestato dell’A.N.P.I. di aver fatto parte della banda partigiana "Tosi"
In una richiesta inviata al Ministero dell’Interno il 13 giugno 1950 si può leggere “…risiedendo da circa 10 anni in Italia ho potuto apprezzare la bontà e l’ospitalità concessami, per cui ritengo mio onere appartenere a questa Nazione”.
Gli fu accordata la cittadinanza italiana nel settembre del 1954.
Nonostante Rosina e Stefano abbiano voluto e siano riusciti a riprendere contatti con la loro famiglia lontana, Pavao ha voluto troncare definitivamente con le sue origini e non ha mai voluto raccontare nei particolari la sua storia del periodo di guerra, è come se lui fosse rinato a Sigillo di Posta.