A che gioco giochiamo?

By proruscio

Vi racconto Ruscio di qualche tempo fa                          

Mi ricordo che noi giocavamo con poco, anche se poi non ci mancava nulla, ma non c’era posto allora agli attuali giochi costosi e sofisticati che però poco lasciano all’inventiva e alla creatività del bambino.
Nel gioco tradizionale tutte le abilità erano coinvolte, abituavano alla riflessione e alla sana competizione, sviluppavano l’autonomia e la socializzazione.
Era difficile infatti, che si facessero giochi individuali, si preferivano giochi di gruppo che prevedevano delle regole che tutti dovevano rispettare. Erano creativi e si svolgevano soprattutto all’aria aperta.
Improvvisavamo il gioco in strade dove ancora passavano poche automobili o nel cortile del palazzo che si trasformava in ludoteca e lì ci si radunava tutti insieme.

Per quanto però ci potessimo, noi cittadini, sbizzarrire nell’inventarsi il gioco, reputavo veri fortunati i ragazzini di Ruscio dove Fabio, Enzo, Napoleone,  Ennio, Erasmo, Ignazio e tutti gli altri avevano il paese a completa disposizione e dove, quando ancora nessuno organizzava ‘rusciadi’, le rusciadi cominciavano già nell’imbarazzo della scelta del gioco e si faceva a gara nel proporre “facciamo questo,  no! facciamo quest’altro”.

Bastava poco per costruirsi il giocattolo, cose trovate, riciclate o semplicemente offerte dalla natura come potevano essere canne, bastoni, scatole, rocchetti di filo e spago. La raccolta differenziata secondo me è iniziata proprio a Ruscio.
Vecchi barattoli della vernice recuperati nell’immondizia erano utilissimi per la costruzione dei trampoli: i barattoli capovolti venivano forati vicino alla base e con del fil di ferro si creavano due  lunghi ‘manici’ che permettessero di camminare sui trampoli.
I cerchioni di una bicicletta rotta, liberati dai raggi, la camera d’aria e il copertone (tenuti da parte per altre invenzioni), erano usati per costruire il cerchio che corredato di un bastone che fungesse da guida diventava un ottimo gioco di abilità perché bisognava riuscire a coprire la distanza maggiore rispetto agli altri lungo le strade di Ruscio, aiutandosi appunto solo col bastone senza mai toccare il cerchio con le mani.
Enzo ne ha ricostruito uno per il figlio Valerio, io ho provato a ‘giocarci’ ma vi assicuro che non è per niente facile.

Uno dei giochi maschili per eccellenza era la fionda. Tutti, o quasi, i bambini si costruivano una fionda per cacciare uccelli o per tiri di precisione. Si utilizzava un ramo biforcuto, due elastici, ricavati dalle camere d’aria delle ruote delle biciclette, o quando si voleva strafare, elastici quadrelli acquistati dal ferramenta, che venivano ben legati ai bracci della fionda e ad un pezzetto di pelle che si ricavava da scarpe o borse in disuso.
Mi ricordo che mio cugino Eligio era bravissimo a costruirsi le fionde. Aveva sempre a disposizione un coltelluccio comprato in uno dei tanti negozi etti di Cascia, coltelluccio che lo accompagnava per la lunga estate paesana e del quale si serviva per tagliare rami di ‘vetica’ e costruirsi fionde, o bastoni che poi venivano incisi con iniziali o disegni.
I più bei giochi di gruppo non avevano bisogno, oppure erano limitati al minimo, di alcun attrezzo o supporto: un fazzoletto per ‘ruba bandiera’, una benda per ‘mosca cieca’, il ‘tiro alla fune’, ‘palla prigioniera’, la ‘cavallina’,  ‘mondo’, ‘nascondino’, ‘un due tre STELLA!’, un pezzo di cartone per la scivolarella (per questo gioco eravamo avvantaggiati noi che abitavamo al Colle, perché lo scenario geografico ci permetteva piste naturali come il pendio appunto del Colle o ancora meglio quello di campo Periju, dove, dall’inizio della strada del monte Ato volavamo giù fino alle Rote).

E poi c’erano le ‘rusciadi invernali’. Mi hanno raccontato Fabio ed Enzo che forse questo gioco era quello che più li appassionava perché alla fine, era il gioco che coinvolgeva tutto il paese, adulti e ragazzini.

D’inverno la temperatura scendeva parecchio e facilmente la notte gelava tanto da formarsi il giusto strato di ghiaccio per poter scivolare. I ragazzini si divertivano partendo dal ponte di Ruscio di sopra per la rincorsa e alimentando via via la spinta ai loro scarponi riuscivano ad arrivare fin davanti la scuola a Ruscio di sotto. Quando poi le temperature non erano ‘favorevoli’, aiutavano la formazione del  ghiaccio buttando acqua lungo la strada.  Battevano la pista in modo tale da rendere pericoloso il transito anche delle bestie. Mansueto Salamandra, il papà di Santino, che portava le sue vacche ad abbeverarsi proprio lì, vicino al ponte, aveva dei grossi problemi.
Ed è a questo punto che subentrava il gioco di squadra degli adulti che, mentre il gruppo delle piccole pesti era a scuola, provvedevano subito a pulire la strada buttando cenere o terra per cancellare la pista di pattinaggio e rendere agevole il passaggio.

Allora? Quest’estate a che gioco giochiamo?

Tutti i grandi sono stati bambini, ma pochi di essi se ne ricordano  ( da”Il Piccolo Principe2)