Tutti noi conosciamo l’importanza del suono delle campane di Ruscio per la vita quotidiana della comunità, come scriveva anche Nicola Marchetti nel suo componimento
Ci svegliano i rintocchi la mattina
e ci annunciano l’ora del lavoro,
della preghiera e quella del ristoro;
come la vita nostra si trascina,
così ogni sera, dopo aver cenato,
ci annuncia che il giorno è tramontato.
La tradizione vuole però che le campane restino in silenzio il Venerdì e il Sabato Santi, cioè nei giorni in cui si ricorda la morte di Gesù. Ed è proprio nella settimana di passione che sono “legate”, una parola che oggi ha un significato metaforico, ma che in passato rispondeva alla realtà perché venivano effettivamente legate con una corda, affinché non emettessero alcun suono, neanche qualora fosse il vento a farle oscillare. E venivano sciolte a Pasqua. Questo è il motivo per cui ancora oggi si usa dire che a Pasqua “si sciolgono le campane” per ricordare la risurrezione di Gesù.
Delle numerose tradizioni della Pasqua rusciara probabilmente ormai sopravvive soltanto quella della colazione domenicale a base di pizze dolci, salumi e uova sode, ma quella che tutti i paesani ricordano con piacere se pensano alla loro infanzia è la gnaccola.
Era uno strumento popolare costituito da una tavoletta di legno provvista di un foro in basso che fungeva da maniglia dove poter infilare le dita della mano. Ai due lati opposti della tavoletta erano applicati due pezzi in metallo a mo’ di batacchio che, facendo girare la tavola su se stessa col semplice movimento di polso, percuotevano il legno producendo un forte e sordo rumore che sostituiva i rintocchi delle campane.
L’uso di questi strumenti in legno fa parte della tradizione di molte località del territorio nazionale e molti sono i termini dialettali con i quali sono identificati, dividendoli in idiofoni a battenti metallici ("tricche tracche" , "bbattemàrra”, "traccagliòla", "tavèlla") e idiofoni a ruote dentate ("raganèlla", "chirrecàrra", "rachenóne", " calascióne", ecc.)
La nostra gnaccola era un idiofono a battenti metallici.
A Ruscio era usata, appunto, durante tutta la Quaresima quando Don Sestilio l’ affidava ai bardascetti che giravano per i vicoli del paese e agitando a gran forza lo strumento annunciavano la funzione serale delle cinque e la S. Messa domenicale: “Suona la prima volta, suona la seconda, suona la terza volta…”. Considerando che si annuncia la celebrazione liturgica 1/2 ora prima dell’inizio suonando le campane per tre volte, immaginate un po’ questo sciabordare di ragazzini per il paese.
A turno si contendevano la gnaccola e in coro richiamavano i fedeli.
Per i bambini era il momento del rumoroso gracchiare e i bambini, si sa, buttano tutto poi al gioco per cui si faceva a gara per l’assegnazione del ruolo e ci si sfidava a chi più fortemente facesse rumore.
La stessa gnaccola, poi, era usata anche durante la celebrazione al momento dell’ostensione del pane-corpo di Cristo, segnalata solitamente dal suono di un campanello.
Lo strumento esiste ancora, seppur dimenticato, in disuso, nel ripostiglio della Chiesa.
Il mio personale GRAZIE a Fabio Agabiti che, con il suo racconto, contribuisce a non far morire le tradizioni del nostro piccolo paese e a farle conoscere a chi minimamente sospetta abitudini di un tempo rusciaro neanche tanto remoto.