Santa Lucia e lo stemma de’ Rubeis scomparso

By proruscio

Riconosco ad Alberto Vannozzi il merito di avermi interessato ed edotto, qualche anno fa, sulle prime notizie e conoscenze intorno alla chiesa di S. Lucia, tutte scaturite da uno dei suoi dipinti di vedute e monumenti monteleonesi, che riempiono la sua casa e alimentano con passione la sua continua curiosità e voglia d’apprendere.

Il discorso principale verteva allora su uno stemma scomparso, un tempo presente sulla facciata della chiesetta anzidetta e che era stato fedelmente riportato anche nel dipinto di Alberto. In seguito appurai direttamente sul luogo, il vuoto netto, fisico (visibile a chiunque), lasciato da questo furto sacrilego, quasi fatto su una consapevole commissione…

Non riuscii a ricavare grandi risultati dalle mie modeste indagini, se non che il reperto si era “volatilizzato” da qualche decennio, lasciando un cratere perfettamente intagliato nella muratura.

Della cosa non se ne parlò più, fino alla scorsa estate, quando, non ricordo più bene per quali strade intraprese, l’argomento balzò fuori, alla presenza di alcuni soci della Pro Ruscio, con la proposta di “rifare, se possibile, lo stemma già esistente”, per la quale mi proposi prontamente di ridisegnare l’arme scomparsa.

Questo buon proposito cadde poi nel dimenticatoio, salvo riaffiorare nella mia memoria grazie ad una mail, ricevuta qualche giorno fa, in cui mi venivano richieste notizie sulla forma dello stemma.

Ridestato in me il primitivo e mai sopito interesse per l’iniziativa e trovato l’incitamento necessario per questo mio intervento, resto infatti dell’avviso che una tale opera, se fatta con attenzione e raziocinio, possa essere un ulteriore evento non solo di operazione culturale, ma dall’alto valore civico e simbolico.

Tuttavia, prima di proseguire con una proposta sull’argomento, è forse il caso di fare un passo indietro e di illustrare brevemente chi erano i proprietari del fondo e costruttori dell’edificio ecclesiastico, addentrandoci un poco nella storia e nell’origine della sua fondazione.

I RUBEI o de ROSSI, la famiglia
Quella dei Rubei è certamente una fra le più antiche, ricche e notabili famiglie di Monteleone di Spoleto, alla quale sono da ricondursi diversi personaggi di spicco della comunità locale (possidenti, prelati, notai e forse anche architetti). Se ne trova documentazione almeno dal 1330, in occasione della stesura da parte dei notai Nallo di Syniballo (Sinibaldi) e Stefanuccio Meneconi (Menetoni) del testamento di Berardo di Robertio detto il rosso o “Rubeus”, da cui sembra proprio derivare il cognome Rubeis – De Rubeis o, come comunemente tradotto in lingua corrente, De Rossi. Nell’occasione citata, Berardo dispone l’impiego di 20 soldi cortonesi per la sua sepoltura presso la Chiesa di San Nicola, 40 soldi alla stessa chiesa e altrettanti a Santa Maria “loci fratrum” (San Francesco), 20 soldi all’ospedale di San Giacomo, 3 lire per la chiesa di San Benedetto e 10 soldi per Sant’Agnese.

Lo stesso personaggio nomina poi fidecommissario dei suoi beni il genero Giacomello Berardoni, eredi in parte le figlie Letizia, Finetta e Complita moglie di Giacomello, ed eredi universali i due figli maschi Andrea e Lallo. Nel 1401 è ricordato invece un Luca Rubey, il quale presenzia a un capitolo di monache per l’acquisto di un territorio in Monteleone, dipendente dall’Abbazia di San Pietro in Valle di Ferentillo.

 

 

S. Lucia al piano di Ruscio dipinto di Alberto Vannozzi, 2008  

 

Fra il XVI e il XVII secolo sono noti un Andrea proprietario di un fondo ai Piani di Ruscio, presso la Chiesa patronale di Santa Lucia, il padre di questi tal Grandonio De Rubeis figlio di Matteo con i fratelli Giuseppe, Agostino (sposato con Margherita Pino o Pini); diversi religiosi ed ecclesiastici fra cui una “sora Chiara Apollonia Rossi”, ser Francesco Rossi attivo a Roma fra i notai capitolini già nel 1628, un Domenico, vicario foraneo a Monteleone nel 1633; Giovannantonio o Giovanni Antonio, curato a San Nicola nel 1658; Il reverendo Don Matteo de Rubeis, altro figlio del predetto Grandonio e Bernardina Jordana, economo spirituale (Parroco Reggente) di San Nicola nel 1688 e altro fratello del predetto Andrea. Siamo alla presenza, quindi, di un’estesa e ricca famiglia che aveva per così dire “le mani in pasta” in molte faccende e nella vita economica, sociale e religiosa del paese.

Questo spiega anche la presenza e diffusione dello stemma familiare (scolpito, dipinto o inciso) sia che sulla facciata della cappella rurale di S. Lucia, sull’epistilio della chiesa parrocchiale (1) in seguito a lavori eseguiti con munificenza di alcuni membri della famiglia nel 1761, che in altari e monumenti presenti in San Francesco (altare di San Felice) e nell’altare smembrato dei medesimi de Rubeis). Il ricco paliotto marmoreo di quest’ultimo (di juspatronato delle medesima famiglia) è dal 1965, riutilizzato nell’altare maggiore, mentre il quadro, smembrato dal corpo originario è posto nella navata destra. Sulla tela di forma quadrangolare sono rappresentati quattro Santi rivolti verso l’altare del Santissimo Sacramento, sotto cui è un cartiglio iscritto, con la raffigurazione dello stemma gentilizio della famiglia, che rammenta il restauro del medesimo sotto la cura del Reverendo D. Giovanni Antonio De Rubeis. La finta lettera riporta la seguente memoria: “SVB LEONE X° ERECTVM / SVB CLEM(ent)E NON° RESTA(uratu)M / ET AVCTVM ÆRE. R. D. / IOAN(ni)S ANT(on)Y. DE RUBEIS .” ovvero “Questo altare eretto sotto Leone X è stato restaurato sotto Clemente nono e ingrandito dal reverendo Don Giovanni Antonio de Rossi”.

CASA DE ROSSI fra fasto e potere
Di questi ultimi tempi è invece la scoperta e l’identificazione dell’antica dimora familiare ravvisabile in alcuni ambienti abitativi con ingresso posto sull’odierna via del Teatro (2), al civico 4, in un fabbricato contiguo al Palazzo dei Priori (ora Teatro Comunale “Carlo Innocenzi”).

Gli ambienti del piano nobile, attualmente di proprietà comunale (già Rosati), presentano segni evidenti dei fasti passati e del prestigio dei suoi antichi proprietari, con tracce di un monumentale camino e porte in pietra scorniciate, ancora il loco. Sotto alcuni tasselli stratigrafici effettuati sulle pareti, sotto numerose ridipinture, sono emerse importanti e delicate decorazioni e figurazioni a tempera, databili al XV-XVI secolo. Le inedite pitture mostrano, sopra una porta di passaggio, l’emblema familiare dei Rubeis entro un clipeo laureato sostenuto da due eroti alati. Sono inoltre riconoscibili iscrizioni e motti, che attendono di essere rimessi in luce, consolidati, restaurati e studiati in modo approfondito.

A riprova della forte presenza di membri di questa famiglia nel terziere di S. Nicola, sempre nella medesima strada all’odierno civico n.10, si segnala, reimpiegata come soglia di porta, un architrave cinquecentesco rotto in due pezzi con l’iscrizione: “(segno di palmetta) IULIUS • DE • RUBEIS”. Da un ramo dei De Rubeis, trapiantato a Roma già dal Cinquecento, ma che ebbe sempre rapporti con Monteleone di Spoleto, proviene secondo il Corona (3), anche il noto architetto Giovanni Antonio De Rossi (Roma, 1616 – ivi, 1695). Figlio di Lazzaro, scalpellino “romano”, giovanissimo è avviato agli studi, che poi ultima al Collegio Romano. Lavora per quasi tutta la sua esistenza all’ideazione e realizzazione d’importanti opere in Roma, divenendo il tramite per il passaggio stilistico al tardo Barocco e al primo Settecento.

S. LUCIA “la chiesa dei De Rossi”
Quasi nascosta alla vista, all’estremità del piano di Ruscio, vicino alla gola delle ferriere, in corrispondenza dell’antico tracciato viario per Cascia e al disotto del piano stradale dell’odierna via provinciale, è la Chiesa di Santa Lucia, la cui struttura è iniziata intorno al 1629 per volere di Andrea De Rossi (o De Rubeis) e terminata nel 1631 dal vicario foraneo D. Domenico De Rubeis (o De Rossi), su un fondo di loro proprietà e in corrispondenza di un antico incrocio viario, tagliato dalla viabilità moderna.

 

 

Chiesa di S. Lucia prospetto foto di Giuseppina Ceccarelli P. G. C.

Nei pressi, poco a monte, è ubicata l’omonima fontana con un’acqua minerale ritenuta di proprietà terapeutiche. Don Matteo de Rubeis ne ottiene il beneficio a suo favore con lettera del 22 gennaio 1677 sottoscritta dal Vescovo di Spoleto Cesare Facchinetti (2 agosto 1655 – 31 gennaio 1683).       

 

 

S. LUCIA possesso del Beneficio di D. Matteo de Rubeis 1677 – Collezione Privata Stefano Vannozzi 

  

Il documento viene prontamente fatto confermare dal suddetto prelato al notaio Antonio Giuseppe Angelini il 2 febbraio del medesimo anno nella stessa chiesa di S. Lucia, alla presenza dei testimoni D. Francesco Galassi di Domenico (di Monteleone di Spoleto) e di Giulio Pini figlio del fù Giovanni, della terra di Leonessa. Nella visita pastorale del 1712 a opera del Vescovo Giacinto Lascaris, O.P. (11 maggio 1711 – dopo il 3 giugno 1726 deceduto), la cappella rurale è brevemente descritta come “posta ai piedi della discesa di Monteleone verso il piano presso l’origine del Tissino. Reca dipinta su tela l’immagine della titolare. Fu dotata senza alcun legato di un appezzamento di terra da Domenico Rossi.

Ormai è diruta e aperta”. La struttura, di modeste dimensioni, si presenta oggi con una semplice facciata modernamente intonacata a sbruffo e provvista di una finestrella, con un piccolo oculo superiore e un campaniletto a vela. L’ingresso in pietra è formato da elementi lavorati e un architrave, a forma di frontone, sul quale è centralmente scolpita una croce latina a bracci strombati posta su tre monti, nei quali sono incise le iniziali del cofondatore “D. D. R.” (Domenicus De Rubeis); al di sotto è la data di consacrazione (1631). Sullo stipite sinistro, forse di riutilizzo, sono scolpite una croce patente entro uno stemma tondo e un simbolo solare, leggibile anche come monogramma a croce con le iniziali di Cristo (“I” di Jesus e la forma “X” come consonante aspirata del “ch” di Christus). Il piccolo ambiente presenta all’interno un pavimento moderno in mattoni e un semplice altare, presso il quale era collocata l’originaria tela a olio, raffigurante i Santi Lucia, Apollonia e Cristina.

La pala d’altare è stata ricoverata presso il Convento di San Francesco di Monteleone dopo un maldestro tentativo di asporto da parte di ignoti, che ha danneggiato il supporto pittorico. Il quadro antico, di cui purtroppo ignoro l’attuale sistemazione, non avendo mai avuto la possibilità di poterlo visionare e per il quale auspico un intervento di restauro e una nuova fruibilità, è stato poi sostituito da una moderna statua della santa titolare (quest’ultima è invece ricoverata nella chiesa della Madonna Addolorata, in attesa di lavori da farsi nella chiesa di appartenenza). Presso questo luogo, posto ai piedi del paese e su uno degli accessi più importanti, nella notte del 18 febbraio 1799 si accampa un drappello di truppe francesi, proveniente da Norcia e diretto ad Arrone, che esige vettovaglie e fucila tre giovani monteleonesi, rei di aver opposto resistenza e segnalato il suo arrivo alla popolazione con degli spari (4). Oggi la chiesetta campestre non conserva particolari memorie storiche, ma attende un improrogabile e attento restauro di tipo conservativo che non ne comprometta il disegno architettonico originario e al contempo ristabilisca la sicurezza statica dell’edificio. È aperta al culto solo in occasione della festività religiosa della Santa titolare, che cade il 13 dicembre.

Lo Stemma trafugato,  una proposta di recupero collettivo
Nella parte alta del prospetto di S. Lucia, sulla sinistra, là dove è oggi aperta una vistosa cavità, era murato fino a qualche decennio addietro lo stemma in pietra della famiglia monteleonese dei De Rubeis, raffigurante un cavallino bianco e una testa di moro (talvolta raffigurato con il capo coperto da uno zuccotto o un turbante) divisi da una banda, sparito in un recente furto. In questa o altra occasione si tentò di asportare anche l’antica campana, per la quale auspico invece una veloce e preventiva campagna fotografico-documentaria atta a contrastare in modo più sollecito ulteriori eventuali sottrazioni, provvedendo a inoltrare regolare denuncia per mezzo di foto allegate, diffidando chiunque dall’entrare in possesso di oggetti dalla conclamata provenienza e, soprattutto, per poterli riconosce fra i reperti rubati quotidianamente e recuperati, con grande sforzo e impegno, dalle Forze dell’ordine.

Per quel che invece concerne lo stemma, lo stesso parroco Don Angelo Corona in una sua pubblicazione del 2000 ne indica il trafugamento come già avvenuto qualche tempo addietro, ma del reperto non sono purtroppo riuscito a rinvenire foto alcuna. Dubito inoltre fortemente che ne sia mai stata fatta regolare denuncia di scomparsa dall’ente proprietario alle autorità preposte (5). Il vuoto materiale creato dagli ignoti depredatori, fatto certamente per pochi soldi a scapito della memoria storica e collettiva di un paese, per riempire chissà dove (vicino o lontano) qualche villa o casale, può ora diventare oggetto di un’azione di riappropriazione collettiva e di un restauro che colmi il buco con una replica similare (ma non certo identica o sostitutiva appieno dell’originale), che diventi testimone dell’intervento stesso. L’idea mi è stata fortemente suggerita dal Prof. Isidoro Peroni, come qui scrivo chiaramente, il quale suggeriva anche l’inserzione di una targa con toni diretti e perentori contro gli spietati detrattori del bene (e forse anche verso il suo ignaro o connivente proprietario attuale!).

Proposta ricostruzione Stemma De Rubeis, disegno Stefano Vannozzi  

Non mi dispiacerebbe poter rivedere a breve rimurato, con il concorso dei cittadini e il coinvolgimento delle istituzioni (del Comune, dell’Arcidiocesi di Spoleto-Norcia, della Soprintendenza Belle Arti e Paesaggio dell’Umbria) lo stemma della famiglia che volle ed eresse la chiesa di S. Lucia, magari con un’iscrizione di tale tenore (6) a motivarne in breve la sua storia e presenza:
«Questa memoria dei de Rubeis, ignobilmente sottratta e trafugata, è stata restituita al pubblico dall’Associazione Pro Ruscio nell’anno MMXVI».

Turpiter furto ablata
Haec de Rubeis Memoria
Publico restituta fuit
a Pro Ruscio Societate
A.D. MMXVI

Note:

1) A. D. 1761 / DIVO NICOLAO PATRIAE ET PAVPERVM PATRONO
2) Trovo conferma anche in un documento notarile datato al 4 settembre 1680, ivi steso: “Actum in M(onte) Lioni, et Domi solite habitat(io)nis D(omin)e D. Bernardine siti in tertiero S(anc)ti Nicolai, iuxta et p(rese)ntib(u)s D. Paulo filio q(uondam) Jo(vann)is Galassi, et Angielo Ant(oni)o q(uondam) Jo(vann)is Mariani ambo li(tterari) d(ic)te Terra (…)”.
3) Corona A. (Don), Architetto Giovanni Antonio De Rubeis, in Monteleone e i suoi figli migliori, Monteleone di Spoleto, marzo 2000, pp. 26-30. Molte altre e numerose notizie su questa famiglia sono liberamente consultabili nel cospicuo sfondo dell’Archivio notarile di Monteleone di Spoleto (con documenti che vanno dal 1588 al 1834), conservato presso l’Archivio Storico di Cascia, nella prestigiosa sede di Palazzo Carli (Biblioteca comunale “Tranquillo Graziani”). Si veda in particolare i notai: Simone Amadio (1669 – 1673) e Antonio Giuseppe Angelini (1672 – 1715).
4) Nel tragico evento morirono fucilati tre giovani di Monteleone di Spoleto: Filippo Dolci del Trivio di anni 30, Luigi Belli di Ruscio di anni 24, Benedetto Mercante (in realtà Mercadante) di anni 28. La storia, fino a ora edita, non parla invece di un quarto ragazzo che invece si salvò lasciando in ricordo un ex voto dipinto su una tavoletta votiva in S. Maria della Cerqua o della Quercia (in seguito trafugata), di cui speriamo a breve poter leggere sulle pagine della rivista “Leonessa e il suo Sano”, le ultime novità scoperte appunto da Alberto Vannozzi, a cui sono grato per queste prime anticipazioni; cfr. anche: Monteleone di Spoleto (PG), Archivio Storico Parrocchiale, Registro dei Morti, 1799, p. 196; Fabbi A. (Don), Tre Monteleonesi uccisi dai Francesi (1799), in Pagine di Storia di Monteleone di Spoleto, I edizione, Ass. Turistica Pro Loco di Monteleone di Spoleto (PG), luglio 1992, p. 43; Perelli M., I Belli di Ruscio, in La Barrozza, notiziario quadrimestrale dell’Ass. Pro Ruscio, a. XII, n. 2, estate 2003.
5) In caso di furto di beni privati o pubblici, il Comando Carabinieri per la Tutela del Patrimonio Culturale consiglia sempre di procurarsi “riproduzioni fotografiche di quanto asportato consultando anche gli album di famiglia, ove potrebbe essere stato fotografato, anche se non in primo piano, l’oggetto rubato”. Di recarsi “presso la Stazione dei Carabinieri più vicina o presso l’Ufficio di altra forza di Polizia per denunciare l’accaduto, portando con voi i “Documenti dell’opera d’arte – Object ID”, compilati a suo tempo per ogni bene, e ogni altro materiale utile per un’accurata descrizione degli stessi. La documentazione viene subito informatizzata nella “Banca Dati dei beni culturali illecitamente sottratti” in modo da favorire la costante comparazione con quanto giornalmente è oggetto di controllo”. Inoltre la segnalazione o denuncia può essere fatta da chiunque, singolo o associazione, anche a distanza di diversi anni dal trafugamento dell’oggetto. Per ulteriori informazioni: http://www.carabinieri.it/cittadino/tutela/patrimonio-culturale/introduzione.
6) Ringrazio il Prof. Giuseppe Santoni amico e studioso di Ripe (AN) per la traduzione della nuova epigrafe, la Dott.ssa Giuseppina Ceccarelli Presidente dell’associazione ArcheoAmbiente, autrice della foto della chiesa gentilmente concessa e il Dott. Fulvio Porena Direttore della Biblioteca e Archivio Storico “Tranquillo Graziani” di Cascia (PG) per aver permesso più volte il libero accesso e lo studio di importanti documenti per la ricostruzione della storia locale di Monteleone di Spoleto.