Le foto raccontano, portano con sé, ricordi, odori e storie che ci riportano indietro nel tempo.

By proruscio

Fernanda De Angelis ci dà una foto che ritrae nell’agosto del ’35 sua sorella Giovanna e il fidanzato. Fin qui tutto normale, una foto ricordo di due fidanzati.
Ma è il particolare in alto a destra, sopra la porta, ad attirare la nostra attenzione: …DELL’AGR.. e poi sotto SCUOLA E…
Nell’angolo a sinistra, sempre in alto, leggiamo: …ZA e sotto …EI

L’iscrizione completa dell’insegna potrebbe essere :

Scuole per i contadini
dell’agro romano
scuola elementare

e siamo a Piazza dei Sei.

La scuola elementare era sicuramente lì, nella casa di Tito Belli, poi di Compagnucci.

Altro dettaglio della foto individuato con lente d’ingrandimento è nell’angolo in basso a sinistra della stessa insegna, un  “libro e una vanga”, evidente richiamo all’era fascista quando tutte le scuole rurali passano sotto il controllo dell’Opera Balilla, l’Ente preposto all’educazione fascista della gioventù. Da una vecchia foto del primo Quaderno della pro Ruscio,  appare un gruppo di scolari con la propria maestra abbigliati secondo le indicazioni appunto delle autorità. Era, si può dire, una scuola in camicia nera.

Ruscio, Piazza dei Sei, Agosto 1935, Giovanna De Angelis e il fidanzato. Arch. Privato Fernanda De Angelis

L’obiettivo della nostra ricerca è tentare, comunque, di ricostruire la sua storia, la storia di una scuola elementare di campagna dove i protagonisti sono i ragazzini di allora e i maestri che li hanno accompagnati.
In quegli anni la scuola elementare era suddivisa in due corsi: inferiore (fino alla 3^ classe) e superiore (4^ e 5^). A Ruscio, come d’altra parte in tutte le scuole rurali, la suddivisione dei due cicli coincideva con due pluriclassi (1^ 2^ e 3^) e (4^ e 5^). La scuola come edificio Scuola è arrivata nel nostro paese, però, solo intorno al ’54-’55, fino ad allora è stato un continuo migrare da una casa all’altra in base al numero degli scolari e all’offerta dei proprietari che mettevano a disposizione  stanze della propria abitazione (probabilmente percepivano un affitto).

Succedeva spesso che i locali scelti non corrispondevano alle esigenze del momento con conseguenti lamentele delle maestre.

Archivio Comunale di Monteleone di Spoleto

In data 22 gennaio 1944, in una comunicazione alla Direzione Didattica di Norcia  riguardo la scuola di Ruscio si legge:
“Credo sia doveroso informarvi che al locale per la scuola di Ruscio è stato provveduto, ma non è di soddisfazione dell’insegnante perché ritenuto piccolo.
Per il momento non è stato possibile provvederne altro di maggiori dimensioni”.

La tempestiva  sollecitazione da parte  del Direttore Didattico di Norcia al Podestà di Monteleone per la soluzione del problema si legge in data 24 gennaio:
“Si comunica a questo Ufficio che l’aula scelta per la scuola di Ruscio non è igienica e soprattutto insufficiente per la sua ristrettezza. Non può contenere neppure gli alunni di una sola classe.
Se ciò risponde a verità occorre provvedere subito in altro modo.
E’ stata messa in evidenza la casa dei fratelli Vannozzi.
E’ necessario provvedere una buona volta il locale scolastico per Ruscio, poiché, come già è stato fatto noto, l’insegnante è inoperosa e di più i frazionisti si lagnano…”

I frazionisti si lagnano.

Archivio Comunale di Monteleone di Spoleto

Ecco allora che intervistando gli scolari delle varie generazioni dai loro ricordi affiora che tra il 40’ e il 49’, la 1^, la 2^e la 3^ è ancora nella casa dei Belli, ora abitata da Fulvio Compagnucci, per passare poi per la  4^ e 5^ nella casa di Teresa Marchegiani, la zia di Aldo Reali (attualmente proprietà di Angelo Colapicchioni). Altra sede della scuola è stata la casa di Mario Colapicchioni (per intenderci la casa sulla stradina che dal Fossato porta a casa di Pina Marchetti).
E poi.

Lucia Vannozzi ricorda che intorno al ’40-’41 per un periodo la scuola è stata nella casa di Salvatore in piazza Nazionale a Ruscio di Sopra.

Enrica Cicchetti ricorda che nel ’53, prima di passare definitivamente tutti nella scuola nuova davanti all’Addolorata, erano nella casa con le scale dei Peroni abitata poi dagli Zanini (ora di Giuliana Agabiti), davanti la chiesa di S. Antonio.
Una scuola itinerante, insomma, con un avvicendamento continuo anche di insegnanti.

La maestra più indietro nel tempo cui siamo riusciti a risalire si chiamava Natalizia Concetta Sbrilli, individuata dalla pagella di mio nonno Arcangelo Vannozzi, per tutti Baffone (pagella tra l’altro bellissima con tutti otto e nove) attestato di promozione alla 2^ classe con data 25 luglio 1916.

Pagella Scolastica di Arcangelo Vannozzi – 1916. Arch. privato Paolo Vannozzi

Nell’epoca della foto di Fernanda, pare ci fosse una certa Carolina Santucci, come si rileva invece dalla pagella della 3^ di mio padre Costantino Reali nell’anno scolastico ’33-‘34.

Pagella Scolastica di Costantino Reali, 1933/1934. Arch. privato Valeria Reali

E’ sempre Lucia a raccontarci un aneddoto proprio su uno dei tanti maestri, il maestro Bettarini “il matto”, va a capire se il nomignolo gli era dato dalle sue origini (era di Gubbio) o semplicemente perché aveva, diciamo così, modi un po’ troppo veementi con i suoi scolari: c’erano in classe con lei i fratelli Vittorio e Carlo di Mappa, ragazzini forse troppo irrequieti che puntualmente irritavano il maestro, il quale li faceva scendere in piazza a raccogliere del brecciolino e poi, risaliti in classe, li metteva in punizione in ginocchio sopra, appunto, i sassi raccolti, che, taglienti, ferivano le ginocchia dei due.

Lucia stessa, pur essendo una ragazzina tranquilla, provò sulla propria pelle il metodo troppo spartano del Bettarini. Alla richiesta del maestro di ripetere una tabellina, la poverina impaurita non riuscì immediatamente nell’enunciazione dicendo che non la sapeva. Ma poi preso coraggio si avviò nella conta ricevendo alla fine,  come premio, un colpo sulla gamba col frustino che il maestro era solito far assaggiare ai suoi alunni. Il motivo? inizialmente aveva detto una bugia dicendo di non sapere la tabellina, quindi meritava comunque la punizione.
Sembra che il maestro Bettarini di Gubbio resistette poco a Ruscio, i genitori fecero di tutto per mandarlo via.

Aldo Reali (classe 1936) ci parla con affetto, invece, del maestro Mario Ranocchia, bravissimo insegnante che ha dato tanto ai bambini di Ruscio, lo definisce come l’unico capace di insegnare e trasmettere valori.

Condivide anche lui i suoi ricordi di scuola ancora impressi nella mente, come quella volta che, alla richiesta di un maestro di Terni di narrare un episodio sui partigiani (siamo nel subito dopo guerra) Aldo raccontò di quando, rientrando con altri bambini dalla lezione di catechismo, si ritrovò nel bel mezzo di uno scontro tra due diversi gruppi partigiani che per una parola d’ordine sbagliata, cominciarono a lanciarsi le bombe a mano all’altezza del campo di Nena Cicchetti. I bambini atterriti ovviamente fuggirono a gambe levate per salvarsi. Solo per aver riferito un episodio che tanto lo aveva spaventato al termine del racconto il maestro sgridò Aldo dandogli del fascista.
O quando, al termine della 5^ elementare, con  Marcello Agabiti, per festeggiare la promozione e la fine della scuola, si comprarono una bustina di aranciata in polvere da sciogliere nell’acqua. Essendo il quantitativo minimo, per non condividerla con gli altri bambini, si nascosero alle Cascinette, così poterono berla tra di loro senza essere disturbati dagli altri.

Ruscio, scolari anni 30

Renato Peroni ricorda che, dopo il bombardamento di San Lorenzo a Roma del 19 luglio 1943 da parte degli americani, i genitori ritennero più prudente rimanere d’inverno a Ruscio pensando che la guerra avrebbe risparmiato un paesino sperduto sugli Appennini (mai previsione fu più errata!). Per non perdere l’anno scolastico il fratello Paolo e i cugini Anna, Pitta frequentavano le elementari a Ruscio nella scuola che era ubicata nella casa attuale dei Compagnucci a Piazza dei Sei (casa dove era nata sua madre Carlotta). Renato e il cugino Giulio, in età prescolare, si limitavano a fare disegni sotto gli occhi attenti di una severa maestra.

Altri maestri citati che via via si sono succeduti sono stati Antonietta, le sorelle Alba e Liliana, il maestro Paolo di Bevagna, Edda Giammarchi di Arrone, la maestra Lucia, che, ci racconta Pina Marchetti, dopo la giornata normale di scuola teneva nella casa di Mario Colapicchioni anche la scuola serale per i corsi di Richiamo per chi aveva la licenza elementare;  e ancora, la maestra Wilma Daus, Lena Carmignani di Monteleone, la bella Paola di Foligno  e lei (era tanto temuta che nessuno ricorda il nome), la maestrina dalla cinquecento rossa che, nonostante le preghiere e gli scongiuri degli scolari, imperterrita, in barba alla neve e ai ragazzini arrivava sana e salva a scuola a cavallo della sua cinquecento.

Ricorda Ennio Reali che era bidella in quegli anni (parliamo del ’65-’70) Pasquetta la fornara, che d’inverno accendeva la stufa di terracotta, unica fonte di calore per l’aula e ovviamente chi maggiormente ne usufruiva era proprio la maestra. Il nostro scolaretto, sempre dotato di alto ingegno, si era preparato con un barattolo dei pelati una sorta di scaldino: avendolo forato e applicato un fil di ferro per manico, se lo riempiva con la brace e lo posizionava sotto il banco per scaldarsi. La maestra glielo buttò fuori dalla finestra mettendo poi in punizione l’inventore.

Ricorda inoltre il maestro che elargiva sempre caramelle a chi sapeva ripetere le tabelline ma anche che per un nonnulla batteva il pugno sulla cattedra, facendo sobbalzare i piccoli malcapitati.Ma la vendetta si sa è un piatto che va servito freddo perciò, un bel momento, i nostri Gianburrasca  decidono di mettere sulla cattedra le puntine da disegno, quelle di acciaio di una volta, e quindi immaginatevi il pugno del maestro. Non ho osato chiedere della punizione.

C’è anche un’altra persona che indirettamente ci dà un aiuto nella nostra ricostruzione, Maria Antonietta Benni Tazzi, lei stessa maestra a Ruscio, che sulla Barrozza di Natale 2006 in Ricordi di una maestra racconta:
“il 1° Ottobre del 1956, e poi il 1° Ottobre dell’anno seguente, fui mandata ad insegnare rispettivamente, nelle scuole elementari delle frazioni del Comune di Monteleone, in piena montagna: a Rescia e a Ruscio.
Quanti episodi mi sono tornati alla mente! Quante volte mi sono trovata a percorrere quelle strade, allora impervie, in mezzo alle tormente di neve, sotto la pioggia o con il solleone!”

Le sue parole ci offrono uno spaccato di Ruscio di allora che lei non ritrova più in una visita al paese qualche tempo fa
“Le vecchie case di pietra antica grigio-scura non c’erano più. Un ponte, che nel 1956 non esisteva, ora scavalcava il fiume Corno ridotto a torrente, dove però non scorre più nemmeno una goccia d’acqua. Nel 1956, per raggiungere Rescia, io lo attraversavo a guado o a piedi o a cavallo di Regina, una mula che mi veniva gentilmente prestata da un cortese contadino. Di acqua ce n’era sempre; al minimo mezzo metro.”

“A Ruscio nella mia casetta rosa avevo l’acqua, la corrente elettrica, il bagno, la provvista di legna per accendere il camino e una piccola sala da pranzo dove ricevere gli amici.”
“…la ternana, Raffaella Morbidoni, che insegnava con me a Ruscio (io facevo la 1° e la 2° classe, lei la 3°, la 4° e la 5°); Alba e Liliana Cevoli, due sorelle romane, che avevano insegnato a Ruscio l’anno prima, quando io stavo a Rescia; quell’anno erano state trasferite a Monteleone; e la bruna romana Fausta (non ricordo più il cognome), che insegnava a Trivio.”

Dalle testimonianze raccolte ciò che comunque colpisce è che tra aule di fortuna, banchi scomodi di legno e senza nessun aiuto tecnologico per fare i compiti, andare a scuola allora era sicuramente più faticoso di oggi. Non c’erano zaini all’ultima moda e ci si arrangiava un po’ come si poteva. 
Enrica ci racconta che, subito dopo la guerra, alcuni avevano al posto della cartella una cassetta di metallo militare, di quelle lasciate dagli inglesi usate prima come porta proiettili, e che, all’uscita dalla scuola, come fanno tutti gli scolari, Orfeo e Guerrino Agabiti con Settimio del casale della Piccinesca si spingevano e si colpivano con le loro ‘cartelle’.
Bisognava poi conciliare i doveri di scolaro con quelli di una famiglia con il pesante lavoro contadino e capitava quindi che l’istruzione era subordinata alla semina o al raccolto estivo o semplicemente alla cura delle bestie o addirittura al controllo dei fratelli più piccoli.

Non tutti arrivavano alla terza, figuriamoci alla quinta. Alcuni hanno preso la licenza elementare in età adulta.

Da anni ormai a Ruscio la scuola non c’è più, ha finito il suo corso travagliato con i ragazzini del ’66, chiudendo definitivamente i battenti nel 1976,  come ricorda Vera Reali subentrata nel ’73 come bidella a Ruscio alla morte di Pasquetta. I locali scolastici furono poi occupati dalla cooperativa di maglieria aperta dalle ragazze del paese, primo esempio di imprenditorialità femminile del territorio.

Sono tanti i rusciari che hanno contribuito in questa carrellata
Grazie quindi ai fratelli Lucia, Maria, Giovanni e Paolo Vannozzi, Enrica Cicchetti, Rita Carassai, Pina Marchetti, Marianna Giovannetti, Giulia Moretti, Benedetta Agabiti, Irma di Pepperepè, Renato Peroni, Aldo Reali, Maria Agabiti, Marianna Cicchetti, Ennio e Vera Reali, che con i loro racconti ci hanno aiutato nel puzzle scolastico di Ruscio perché…

“Un paese vuol dire non essere soli, sapere che nella gente, nelle piante, nella terra c’è qualcosa di tuo, che anche quando non ci sei resta ad aspettarti" (Cesare Pavese)