Arti e Mestieri: la cargia

By proruscio

Dal Messaggero: “Villa dei Quintili…restauri visitabili oggi e domani, poi finiranno sotto la calce”.
”La calce è tanto più efficace, quanto più è vecchia” recitava Plinio nel Naturalis Historia.
Figuriamoci allora quale potenzialità può avere l’accumulo di materiale appena ritrovato in un vano di servizio della Villa dei Quintili.

“E’ calce datata tra la fine del II° e l’inizio del III° secolo d.C.”, ricorda Rita Paris, Direttore dei lavori. “Significa che siamo a quota duemila anni di deposito. Il deposito di calce si trova all’interno di un’area ancora sottoposta a scavo; è materiale di ottima qualità, destinata ai lavori di ristrutturazione e di decorazione della villa……..”

Questa scoperta ci dà lo spunto per ricordare la procedura artigianale per la formazione della calce e la sua applicazione nel campo dell’edilizia rurale.

Fino al dopoguerra esistevano a Ruscio alcuni depositi di calce tenuti nascosti da tavole e fascine fino a quando il ricorso al cemento e ai suoi derivati avevano messo fine a questo materiale tanto prezioso quanto efficace per la costruzione di case, stalle per il ricovero degli attrezzi o degli animali domestici.

Seguendo le testimonianze di alcuni anziani, in particolare di zio Mario, cercherò di descrivere sommariamente le varie operazioni e i materiali per la formazione della “cargia”.
Per primo veniva scavata una apposita fossa circolare del diametro da 3,5 a 4 metri, quindi si sceglieva il tipo di sasso più idoneo, con i quali formare vari strati fino a formare una struttura detta la “cargara”, così definita nel dialetto locale, a somiglianza delle carbonare, per intendersi.

(Cargara e cargaiola: esiste qualche assonanza con le due alture del Monte Alto?)

Per la cottura dei sassi occorrevano quattro giorni e quattro notti di continua fiamma senza spegnersi, utilizzando una quantità notevole di legna e fascine; per comodità, la fossa veniva approntata nelle vicinanze dei boschi e delle “macere” dove più facilmente si poteva procurare il materiale necessario.

Quando poi si era ottenuto l’effetto desiderato, si lasciava spegnere il fuoco. La calce “viva”, veniva collocata nel paese in appositi spazi, dove si provvedeva a spegnerla con getti di acqua, divenendo pronta per essere utilizzata dai muratori.

Il tempo e il ricorso a nuovi materiali hanno “affossato” questi depositi, che restano nella memoria come reperti di un’altra epoca e di altre esigenze