Relazione tecnica di restauro conservativo
Soggetto: Colonna di confine n. 499.
Epoca: 1847.
Autore: maestranze “napoletane”.
Materiale: pietra calcarea locale di origine sedimentaria.
Misure: altezza totale cm 200; altezza dal livello del suolo cm 151; diametro del fusto della colonna cm 49; base quadrata di cm 54 x 54 (lati) x cm 49 (altezza); la distanza fra il collarino e i lati della base è di cm 1,5.
Peso: Kg 880.
Archivio di Stato di Perugia, Catasto Gregoriano, particolare del foglio IX della mappa di Ruscio con il nuovo confine delimitato dalle colonne n. 499 e 500.
Iscrizioni: sulle due facce della colonna, in corrispondenza dei rispettivi Regni di appartenenza, sono scolpiti gli emblemi di Stato: Giglio e numero proprio consequenziale del fusto per il Regno delle Due Sicilie; Triregno con chiavi decussate e anno di erezione dell’elemento per lo Stato Pontificio. È interessante notare che tutte le effigi e iscrizioni, a esclusione della numerazione, sono state deliberatamente cancellate per “Damnatio Memoriae”, secondo una prassi consolidata anche su altri cippi, che abbiamo avuto modo vi visionare personalmente nelle ville contermini dell’agro di Leonessa. Le cifre sono alte cm 9; il giglio e l’altro emblema sono alti cm 16.
La colonna a terra fra la vegetazione lungo il rivo orientale del corso d’acqua del Vorga, sabato 15.07.2017, foto di S. Vannozzi.
Collocazione: il termine, posto a Ovest di Colle Montano, in località “il Limitone”, sul confine meridionale fra Monteleone di Cascia – Stato Pontificio (oggi Monteleone di Spoleto, PG, Umbria) e Leonessa – Regno delle Due Sicilie (oggi Leonessa, RI, Lazio), in un angolo di 90° formato dall’intersezione di un piccolo rivo iemale che si immette nel fosso maggiore (Vorga), è stato rinvenuto scalzato e spostato di alcune decine di metri a Sud – Sud Ovest dal sito originario, abbandonato a terra in una ristretta fascia umida-boschiva fra il torrente e il terreno seminativo, a pochi metri dal confine regionale con il Lazio.
È ora collocato sul lato Nord del giardino comunale che circonda la caserma dell’Arma dei Carabinieri (già Corpo Forestale dello Stato) in Ruscio, frazione di Monteleone di Spoleto (PG).
Cartografia I.G.M. con l’area del ritrovamento sul confine fra Monteleone di Spoleto e Leonessa.
Documentazione: Il manufatto lapideo è parte di un consistente gruppo di 686 termini posti nel biennio 1846-1847 lungo tutta la fascia di confine fra lo Stato Pontificio e il Regno delle Due Sicilie, con partenza della numerazione progressiva dal Tirreno all’Adriatico. La numerazione effettiva va dal numero 1 al numero 649, poiché alcuni termini riportano la medesima cifra seguita da una lettera alfabetica distintiva.
Furono posti dopo un trattato firmato fra le parti a Roma il 26 settembre 1840, che poneva fine alle lunghe contese con una nuova ed esatta confinazione. L’esistenza dell’esemplare 499 era noto solo dalla cartografia storica e dall’attinente documentazione archivistica. Lo scrivente ha rintracciato la collocazione esatta del manufatto sulla rispettiva tavola del catasto gregoriano conservata nell’Archivio di Stato di Perugia. Per queste colonne di confine esiste un’ampia e ricca trattazione in continuo aggiornamento, alla quale rimando per maggiori delucidazioni.
L’impegno, la pazienza e la grande professionalità della ditta Agabiti. Foto di Stefano Vannozzi.
TIPOLOGIA DI INTERVENTO
Principale scopo, dal punto di vista della conservazione, è stata la pulitura e il consolidamento del manufatto attraverso la rimozione di quanto risultava dannoso per il materiale lapideo: presenze di sali solubili e insolubili, stratificazioni di materiali vari, vegetazione infestante, deiezioni animali. Tutte le operazioni sono state eseguite rispettando non solo le patine naturali, ma anche lo strato più superficiale del materiale lapideo, astenendosi da interventi di pulitura con strumenti di microabrasione di precisione quali, ad esempio, le micro sabbiatrici, che avrebbero inevitabilmente sbiancato in eccesso la pellicola superficiale. Ci si è quindi limitati a una semplice pulitura, coesione delle parti distaccate, e chiusura degli alveoli maggiori, onde evitare, per quanto possibile, il persistere di cavità e luoghi d’accumulo di terriccio o di acque meteoriche, migliorando al contempo la leggibilità estetica dell’elemento.
L’impegno, la pazienza e la grande professionalità della ditta Agabiti. Foto di Stefano Vannozzi.
DESCRIZIONE DELLO STATO DI FATTO
Il manufatto, era posto in giacitura secondaria, capovolto a terra in un soffice e fine terriccio misto a humus, prospiciente un rivo disseccato nella stagione estiva. Al momento della ricognizione presentava sulla superficie superiore esposta agli agenti atmosferici un’ampia e diffusa colonia di muschi e altri organismi biodeteriogeni, accumulatisi specie in corrispondenza di cavità e fenditure disposte lungo il fusto della colonna. L’ambiente umido ha favorito il proliferare delle piante radicali, che hanno sollecitato micro danni meccanici, fessurazioni e parziali decoesioni della superficie lapidea. Ottimo era lo stato di conservazione della parte adagiata e posta a diretto contatto con il suolo.
La presenza di microtraumi superficiali, piccole lesioni e altri indizi lasciano ipotizzare un possibile e ripetuto spostamento della colonna ancora nell’arco dell’ultimo trentennio. Se in altri casi questi cippi sono diventati, nonostante la difficoltà di recupero, oggetti di arredo privato, nel nostro caso la colonna è stata scalzata in tempi remoti da ignoti, al probabile scopo di recuperare la sottostante medaglia in ghisa (testimone), ivi apposta nell’atto di elevazione (1847); successivamente, in tempi più recenti, è stata trascinata nella boscaglia al limite del terreno coltivato, operazione avvenuta, data la mole, certamente con un mezzo meccanico.
L’impegno, la pazienza e la grande professionalità della ditta Agabiti. Foto di Stefano Vannozzi.
ALLOGGIO TEMPORANEO E SEDE ODIERNA
La colonna confinaria è stata, con tutte le cautele, imbragata con corde di sicurezza, sollevata e lentamente collocata, con tutte le accortezze del caso, su un pianale in legno, ammortizzato da una fascia morbida di piombo e trasportata in locale privato protetto e coperto. Successivamente è stata spostata con il medesimo pancale e posta nella sede definitiva entro un incasso di cemento colmato a sabbia fino a permettere il raggiungimento della medesima quota che il manufatto aveva nel suo luogo originario. Ciò è stato possibile grazie alla presenza di inequivocabili segni del livello di interro nella parte superiore del blocco basamentale.
OPERAZIONI DI RESTAURO
L’intervento è stato eseguito nell’agosto 2017, con Autorizzazione MiBACT-SABAP-UMB prot. 0011532 del 01/06/2017.
1. Intervento mirato di pulitura: Si è proceduto alle prime operazioni di pulitura ed eliminazione dello sporco e del particellato superficiale presente sul paramento lapideo che, in questa prima fase, ha impegnato quasi due giorni di lavoro, con interventi meccanici localizzati, applicazione di fungicida e successivamente con un trattamento finale. In questo primo grado di pulitura delle superfici e anche nelle fasi seguenti, il lavaggio a mano con spazzole morbide di saggina e il risciacquo è stato effettuato sempre con utilizzo di acqua demineralizzata. Residui biologici e terrosi sono stati asportati con azione meccanica tramite l’ausilio di spazzole di setola morbide e rigide, bisturi e specillo, con la massima attenzione per non intaccare la superficie.
Il termine lapideo nel ricovero provvisorio prima degli interventi di pulitura meccanica. Foto di Stefano Vannozzi.
2. Pulitura preliminare: In una seconda fase si è applicata a pennello sulla microflora una soluzione acquosa di Benzalconio Cloruro (Sali di ammonio quaternario) concentrata al 50% con un’elevata capacità germicida e detergente, in soluzioni acquose in concentrazioni variabili dal 0,3 al 0,6% (3-6 ml/1 lt acqua), lasciandola agire per alcuni giorni.
3. Disinfezione e disinfestazione: Nella terza fase si è intervenuti con un trattamento biocida teso a eliminare i biodeteriogeni residui, come licheni e alghe, cresciuti sulle superfici maggiormente esposti agli agenti atmosferici. L’applicazione di trattamento alghicida-fungicida, con impiego del Rocima 103 (a basso impatto ambientale), sempre in soluzione acquosa su superficie asciutta, mediante l’utilizzo di un pennello diluito al 3% in acqua distillata, e lasciato ad agire per una settimana, avvolgendo ed impacchettando l’elemento lapideo con una pellicola plastica e schermatura dalla luce solare diretta.
Trascorso il tempo necessario per una corretta azione del prodotto applicato, si è proceduto all’asportazione dei residui e alla rifinitura della pulitura con bisturi, spazzolini e spazzole di nylon e saggina. Sono stati inoltre ripetuti diversi lavaggi dell’elemento con acqua demineralizzata per garantire la rimozione completa del prodotto.
“Spettatori”. Foto di Stefano Vannozzi.
4. Ulteriore pulitura localizzata: A questo punto la superficie lapidea appariva disomogenea e annerita da depositi di sporco di natura organica che col tempo si erano induriti. In tali zone, quindi, si sono dovuti effettuare impacchi localizzati con polpa di cellulosa imbevuta di soluzioni acquose di ammonio carbonato al 20% ed E.D.T.A. bisodico al 5%, con tempi di azione variabile, secondo le necessità. In ogni successivo passaggio il manufatto è stato adeguatamente lavato, spazzolato e risciacquato.
5. Finiture e integrazioni: Per piccoli e contenuti distacchi si è provveduto con un consolidamento e riassemblaggio delle parti decoese mediante smontaggio, pulitura e riadesione degli elementi con resina epossidica.
Le stuccature e microstuccature di lesioni, fessurazioni e piccole mancanze sono state eseguite con malta idonea per colorazione e granulometria, a base di calce, con bassissimo contenuto di sali e polveri di marmo.
Per le stuccature di integrazione, al fine di rendere possibile un’adeguata lettura cromatica delle superfici, si sono utilizzati inerti naturali simili per colore e granulometria alla superficie lapidea originale, evitando l’uso di coloranti addizionati nell’impasto (siano essi terre colorate e pigmenti). In tal modo, in fase di lavorazione, si è raggiunto un tono adeguato ma leggermente più scuro, al fine di bilanciare il successivo e naturale schiarimento prodotto per effetto della calce.
Operazioni di riposizionamento. Foto di Stefano Vannozzi.
Gli interventi di carattere conservativo hanno rispettato i seguenti criteri: – del “minimo intervento”, limitandosi all’essenzialità dell’intervento stesso, anche nell’eventualità dell’integrazione, onde non compromettere il "testo" nella sua valenza storico-documentaria, sono state escluse quindi operazioni invasive di rimozione delle evidenti tracce presenti di damnatio memoriae che hanno toccato i simboli di stato dei due regimi. Le stuccature di profondità sono state ottenute con malta fluida, successivamente “incocciata” con frammenti di laterizio immersi in un impasto di inerti composti da sabbia ottenuta dallo sgretolamento di pietra calcarea locale legato con una base di calce idraulica (calce idraulica naturale pura di Saint –Astier (NHL 5) a basso contenuto di Sali idrosolubili) e grassello di calce in rapporto 3/2 fra inerte e legante. Le reintegrazioni sono state eseguite solo dove necessariamente indispensabili come nel caso della sommità piramidale utile non solo esteticamente ma sotto il profilo dello scivolo idroscopico. Ad ogni modo della "reversibilità dell’intervento", ossia della possibilità di rimuovere, le aggiunte e integrazioni introdotte con l’intervento di restauro conservativo, rendendole riconoscibili e sacrificabili.
Il giglio borbonico deliberatamente cancellato. Foto di Stefano Vannozzi.
6. Trattamenti protettivi: Al fine della conservazione del monumento, considerata anche l’esposizione alle precipitazioni meteorologiche frequenti nella zona nel periodo autunnale e invernale, si è steso un protettivo idrorepellente traspirante che, oltre a riconferire compattezza alla pietra (con funzione quindi di consolidante), fornisce anche un’adeguata protezione anti igroscopica.
Si è utilizzato un prodotto specifico, qual è il Rodhorsil 244, applicato a pennello in rapporto 1:10 in ragia minerale, su superficie completamente asciutta atta ad assorbire per capillarità della pietra; per effetto dell’acqua residua nei pori e di un catalizzatore che favorisce l’azione, si ha la formazione di un reticolo consolidante che permette ai materiali di ritrovare una coesione simile al materiale originale senza modificare a fondo la permeabilità.
Il giglio borbonico deliberatamente cancellato. Foto di Stefano Vannozzi.
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