«Ci sorritono le labra insieme al cuore, scherzo di gioventù giorno di amore»….
Solo un inguaribile romantico innamorato come mio padre poteva scrivere questa dedica alla sua amata, a mamma, sul retro di un’istantanea di un abbraccio che li ritrae felici, da conservare nel tempo, come prezioso ricordo del tempo che fu.
I pochi fortunati dell’epoca che riuscivano a scattarsi fotografie usavano poi regalarle al proprio lui o lei come messaggio esplicito dei propri sentimenti. E facilmente si usavano versi poetici, avvezzi com’erano tutti a poetare, anche chi poeta non era.
Costantino e Giovanna Reali
E i versi, spesso, si mettevano in musica con gli stornelli e serenate che davano all’innamorato la possibilità di cantare tutta l’intensità del proprio sentimento affidandolo alle note di una canzone appassionata che voleva sciogliere il cuore della ragazza desiderata.
Ma l’amore, si sa, è anche gelosia, abbandono e sdegno e in queste occasioni, al posto della dolce e appassionata serenata, venivano fuori parole pungenti a sfogare la stizza, stoccate in rima nei confronti della malcapitata che aveva tradito o rotto il rapporto e quindi agli occhi di un ambiente sociale alquanto ristretto mentalmente di allora si era comportata in modo poco onorevole.
L’uomo rifiutato offendeva con metafore allusive la donna, non senza creare contrasti tra famiglie.
In queste sonate, l’uso di fiori e di immagini bucoliche non addolciva certamente le battute astiose e dirette da cui venivano fuori la rabbia per l’abbandono e l’orgoglio ferito per la scelta di un altro amore:
Fiore de nocchia
quanno strilli pari ‘na cornacchia
te senti bella ma sié brutta e racchia
[da Saggio di vocabolario dialettale di Monteleone di Spoleto e Poggiodomo di Egildo Spada e la Scuola Statale di Monteleone di Spoleto]
Ti vai vantando che non m’ hai voluto,
Ma mi vanterò io d’ un’ altra cosa:
E t’ ho toccato il petto e t’ ho baciata
E nel giardino tuo colsi la rosa.
Fiore di mora;
Tu mi potevi amar quando m’ avevi,
Adesso non m’ hai più, suspira e mori.
Su la finestra tua ci stanno i frutti
ci stanno i pummidori verd’e fatti
ci stanno i pummidori verd’e fatti
si ‘na ciuetta che da retta a tutti
si ‘na ciuetta che da retta a tutti.
In una simpatica intervista della scorsa primavera, R. (userò solo l’iniziale per discrezione e per tutelarla da ulteriori sberleffi) mi ha raccontato delle sue serenate a dispetto ‘dedicate’ dal ragazzo di Monteleone rifiutato dopo un lungo fidanzamento per un nuovo amore. Veri e propri raid organizzati ed inviati dal ragazzo rifiutato che inviava un gruppo di amici sotto le sue finestre con lo scopo di schernirla e metterla in cattiva luce davanti a tutto il vicinato e agli occhi del nuovo amore e spingerlo ad andarsene. Messa in cattiva luce con stornelli che la descrivevano come una ragazza facile per instillare il dubbio che non fosse una ragazza per bene e quindi era meglio lasciarla.
“Prima – aggiunge R.- eravamo inculcate in una certa maniera, e pur non essendo una bacchettona, di questa situazione ci ho sofferto troppo. Adesso c’è anche troppa facilità nell’uso dell’amore…
Se consideri, però, che all’epoca, solo tenere una mano sulla spalla del ragazzo era immorale, non si poteva, eri già una donnaccia”
Immaginiamo gli effetti sulla comunità di derisioni cantate in pubblico…