In questi giorni di smarrimento e paura prodotti dalla situazione del coronavirs e il conseguente lockdown, tra le parole dette e udite che ricorrono più spesso troviamo vocaboli come: “virtuale” “multimediale” con tutte le declinazioni, varianti e sinonimi che volete. Riunioni e lezioni multimediali, incontri virtuali e chi più ne ha più ne metta. Siamo stanchi di questi non-incontri, che tra i tanti effetti ci costringono ad installare e gestire continuamente software nuovi perché, come i santi a cui votarsi, ognuno ha il suo preferito, che è sempre diverso da quelli già installati.
Questa situazione mi ha fatto tornare alla mente un dibattito che di tanto in tanto si accende tra di noi l’estate e ne ho trovato traccia nell’archivio della Barrozza. Nel numero estivo dell’estate 2009 Pierpaolo si chiedeva, con dispiacere, come mai la voglia di stare insieme vada scemando. Nel numero successivo una possibile visione ed interpretazione venne proposta dal sottoscritto. Poi lo scambio sulla Barrozza finì lì, ma non il confronto di persona, allargandolo anche ad altri soci e cari amici di sempre. Ricordo con chiarezza che in preda allo scoramento uno di noi pose questa domanda: “ha senso quello che la nostra associazione continua a fare? Il paese sembra un teatro che si illumina per un paio di settimane ed il resto è un palcoscenico vuoto. Il paese non esiste, è solo virtuale”. Considerazioni amare difficilmente confutabili.
Osservando la vita di questi giorni viene facile rispondersi che la situazione rusciara è, né più né meno, specchio dei tempi, un cammino verso la spersonalizzazione delle relazioni. Tuttavia, voglio sfidare i tempi e rivoltare la visione. Proprio la privazione completa della relazione e quello che può sembrare il trionfo del “virtuale” può far rinascere in noi il desiderio del “reale”, dell’incontro e dell’abbraccio, quello vero! Mi auguro, e credo fermamente, che perdere le certezze, perdere i consueti appuntamenti che procedono da decenni, come le rusciadi, la processione, la cena sociale e tante altre cose, ce le possono far apprezzare di più, ci offrono la possibilità di rileggere tutto il bene passato e anche gli appuntamenti perduti o svalutati, per poter poi apprezzarli e viverli con sentimento rinnovato quando potremo finalmente tornare a viverli.
Si tratta di una possibilità a cui nessuno ci obbliga, se così non sarà vissuta, se non rileggeremo questi giorno e quelli passati per vivere diversamente quelli futuri, se solamente vorremo tornare “alla normalità” ove questa fa rima con routine, allora il lockdown sarà stato solo un’occasione persa e con essa anche le relazioni autentiche, restando imprigionati dal “virtuale”.