L’onestà di Secondo

By proruscio

 L’archeologia classica monteleonese vista da Secondo Olivieri

Questo mio inusuale intervento ha avuto una lunga gestazione, durata oltre un anno prima di arrivare alle battute finali. Chi conosce la persona e gli argomenti sa che è come cimentarsi in un campo minato, dove ogni passo falso può costare caro. Sono ad ogni modo dell’avviso che è bene descrivere e al caso, semmai, elogiare una persona quando questa è ancora in vita, presente fra noi, piuttosto che affidarsi a postumi comunicati. 

Il tutto ha preso le mosse dal convegno incentrato sui reperti archeologici di Piè d’Immagine, tenuto al Teatro Comunale di Monteleone lo scorso 21 luglio 2019 e per il quale auspico ci sia un seguito. In tale occasione il prof. Romano Cordella, invitato a parlare su alcune epigrafi locali, notando l’assenza tra i presenti di Secondo Olivieri, noto amatore delle antichità monteleonesi, immancabilmente sempre partecipe a eventi del settore, gli indirizzò un pubblico saluto. A lui andava, infatti, il merito di aver contribuito al ritrovamento di importante materiale archeologico nel territorio comunale e della segnalazione fatta anni addietro al Cordella di una epigrafe scoperta presso la Forca di Usigni, in Comune di Poggiodomo, successivamente trafugata. Mi feci messaggero di questi saluti, portandoli di persona a colui che era stato tra i miei primi conoscenti di Monteleone. Devo infatti a Secondo, la mia seconda visita al borgo, quando egli si rese disponibile ad accompagnarmi davanti alla casa che fu della mia famiglia in via Cesare Battisti, sotto palazzo Congiunti.

Dalla visita che eseguii due giorni dopo il convegno rimasi, però, profondamente colpito dalle immeritate parole che gli vennero rivolte da uno dei presenti, perché nel passato non aveva sfruttato la situazione per il proprio personale tornaconto, in quanto “si sarebbe potuto arricchire e fare i soldi come tanti”. Tentai in quell’occasione di difenderlo ma a nulla valsero le mie parole imperniate su termini come onestà, correttezza, senso civico e bene comune …

A voler essere scrupolosi, molto gli si può contestare sotto l’aspetto dell’approccio nel campo dei beni storico-archeologici. “Ognuno vede quel che sa”, questo l’aforisma che ben si addice alla sua figura: da autodidatta, ha desunto infatti le poche notizie da opere di Dionigi da Alicarnasso e dall’Eneide di Virgilio, sulle quali ha formato e fermato le sue ipotesi, precludendosi ogni ulteriore possibilità di confronto, correzione o aggiornamento.

Resto invece fermamente convinto che tutto si possa dirgli, tranne disconoscere la sua innata e ingenua onestà, che gli fa molto onore. Avrebbe infatti potuto certamente cedere alle lusinghe di un sicuro profitto attraverso la dispersione di prezioso materiale archeologico, ma fortunatamente per noi tutti non è successo. A questa onestà va pertanto il mio pubblico plauso.

Dal carattere testardo, intransigente e convinto assertore della “scientificità” delle sue discettazioni, che nel corso degli anni ha tradotto in piccole pubblicazioni a stampa, Secondo ha impegnato anni della propria vita battendo a tappeto il territorio di Monteleone e parte di quello leonessano. Purtroppo però, dietro tale ricerca condotta in modo poco ortodosso, si sono persi gran parte dei dati concernenti il contesto di rinvenimento degli oggetti e di alcuni non si conosce più l’effettiva provenienza.

 

Secondo Olivieri

 

Come ben sottolineò già nel lontano 1985 Don Angelo Corona, questo “è un lavoro che non può essere lasciato all’entusiasmo artigianale di privati, ammirevole in questo, Secondo Olivieri, appassionato e disinteressato ricercatore: deve diventare un compito collettivo e comunitario”.

Non è stato possibile fare una vera e propria intervista ma proverò a ricostruire una sorta di biografia utilizzando una scelta di brani autografi, opportunamente corretti sotto l’aspetto formale ma senza snaturarne il contenuto originario. Mi rendo conto di scrivere sul filo di un rasoio e di poter essere malignamente frainteso, ma è il mio modo alla fine di dire comunque grazie a Secondo Olivieri, poiché a lui si deve la salvezza di una parte del materiale archeologico che, dopo alterne vicende, è da decenni parzialmente esposto nelle teche del Museo archeologico di Spoleto.

Secondo Olivieri nasce a Monteleone di Spoleto l’11 giugno del 1936, da Pietro e Tersilia. La famiglia è originaria di Leonessa, discendente da Giuseppe, nato nel 1866 nella frazione di Ocre, figlio di Pietro e di Cecilia Vettucci, nata nel medesimo Comune, nella frazione di S. Vito.

Fu tra i primi coltivatori a disporre di un trattore, che gli permetteva di lavorare anche per gli altri, in lungo e in largo sul territorio di Monteleone, dandogli occasioni di vedere, trovare, scambiare notizie inerenti alla sua grande passione per le antichità.

Secondo ha continuato indisturbato la sua raccolta per oltre trent’anni, convinto di poterla fare liberamente, perché nessuno ha avuto mai il coraggio di spiegargli o la capacità di fargli intendere ciò che non poteva essere fatto, perseverando dunque nel credere che, in quanto scopritore, avesse persino la facoltà di disporre la destinazione dei reperti a proprio piacimento, per presunto diritto di scoperta.

Il suo fine principale è stato quello di incrementare e conservare reperti archeologici, in attesa di poterli poi a suo modo “donare” (pur non avendone titolo) a un costituendo Museo civico in Monteleone di Spoleto. In modo ingenuo si fa addirittura ritrarre in posa con alcune delle sue scoperte, senza che alcun pensiero o paura di denuncia gli sfiori la mente.

Nel 1985, per la realizzazione del catalogo della mostra sulla biga di Monteleone tenutasi a Cascia dal 20 al 25 agosto di quell’anno, viene addirittura ringraziato per aver gentilmente messo a disposizione i reperti archeologici da lui rinvenuti nella zona di Monteleone di Spoleto.

Secondo Olivieri insieme all’Autore tra i vicoli di Monteleone

Nel 1995 consegna, come egli stesso scrive e documenta fotograficamente, “dei reperti racchiusi in 6 casse, ritirate direttamente dalla guardia municipale del Comune di Leonessa; con l’impegno e garanzia fatta dal Comune stesso, che i reperti fossero ben custoditi ed esposti al Museo Civico Comunale”. È da chiedersi ancora oggi con quale autorità un’istituzione comunale potesse accettare del materiale archeologico la cui competenza è solo e chiaramente statale. È semmai evidente che, in questo clima, il nostro ricercatore ha operato in piena libertà, alla luce del sole e sotto gli occhi di tutti, di gente analfabeta o istruita, di agricoltori, commercianti e piccoli imprenditori.

Anzi, ammettendo che ci siano state colpe morali, esse sono da attribuirsi in primo luogo a quei tanti giornalisti che, solleticati dalle notizie di scoperte eclatanti, hanno incitato personaggi come il nostro amico, ammantato di fascino misterioso e definito “Indiana Jones” o “etruscologo”, anziché denunciarne l’attività comunque illegale e spiegare al pubblico che certe operazioni non sono lecite. In via non meno secondaria, anche le autorità locali, che avrebbero dovuto prevenire e nel caso agire, si sono ben guardate dal muovere un dito.

È infatti bene ricordare al lettore, per quanto la cosa possa piacere o meno, che in Italia la ricerca archeologica è demandata a specifiche istituzioni, che sono le uniche autorizzate a operare in tale campo. Non è consentito operare scavi finalizzati al ritrovamento di oggetti di antichità e, anche in caso di scoperta del tutto fortuita, il cittadino (anche se proprietario del fondo) è tenuto a segnalare prontamente la notizia alle forze dell’ordine e alla Soprintendenza locale.

Il nostro Secondo, invece, ignaro di tutto ciò, confida a una giornalista (per nulla sconvolta della sua attività) che la sua “è una passione nata da ragazzo, quando mia madre raccontava la leggenda dei tre capitani, la storia di cavalieri armati che avevano combattuto tra loro in un tempo lontanissimo, giunta fino a noi per tradizione orale”.

Altrove specifica: “Personalmente feci il mio primo rinvenimento nell’area del monte (Pizzoro, ndr): due statuine, una maschile e una femminile, e in quella occasione scattò la passione per la ricerca che ha condizionato la mia esistenza”. E ancora: “Alla fine del 1970, durante una riunione familiare a casa di mio padre, parlando del più e del meno, entrando in discorso della raccolta di cocci di superficie, che andavo facendo, venni a sapere da mio cognato Renato, cacciatore e grande conoscitore del territorio, della presenza di frammenti di cocci in un terreno di monte Pizzoro. Passò un po’ di tempo, poi mi decisi ad andare nel posto, come consigliatomi. 

Andai a Colle del Capitano, contattai Isidoro Vannozzi, nipote dello scopritore della Biga, e fu lui ad accompagnarmi sul posto indicato. Di primo mattino, dopo una notte di gelo, il sole nascente metteva in evidenza una miriade di frammenti di ceramica rustica e, fra tutto quel materiale, rinvenni due statuine di bronzo, una vicino all’altra, forse una coppia di sposi, dalla anatomia stilizzata realizzata semplicemente con cerchietti: due per gli occhi, due per il seno e uno per l’ombelico. Il rinvenimento mi impressionò molto e scattò in me la certezza di trovarmi nel luogo di una città antichissima e che la tomba del Capitano non fosse quella di un guerriero di passaggio. Circa la scoperta del pozzo ho potuto avere delle testimonianze dirette di contadini che si sono trovati sul posto negli anni ’30 del secolo ventesimo. Dal loro racconto emerse il fatto che durante l’aratura una delle mucche sprofondò con una zampa nel foro centrale sopra descritto. Il contadino resosi conto del manufatto si calò dentro e rovistando rinvenne un ‘bambolotto’ di bronzo seduto, tipo ‘egiziano’, ora scomparso”.

Nell’ultimo decennio, fiaccato dall’età, è venuta un po’ meno l’energia nel diffondere le sue teorie di una città Iguvina, il cui centro sarebbe proprio il territorio di Monteleone di Spoleto. Le sue esposizioni sono state affidate a manifesti illustrati, periodicamente affissi sulla bacheca pubblica del paese e a una pagina personale su Facebook, dove Secondo, a periodi alterni, ha diffuso i suoi umori, i suoi pensieri e punti di vista sul tema dei nostri Beni Culturali. Eccone alcuni.

26 settembre 2015: “Sto pensando a quanti ricercatori con le “patelle”, cercametalli (metaldetector, ndr) hanno saccheggiato il nostro territorio, la città Iguvina, le statuine e i personaggi di bronzo: senza di questi avremmo oggi un museo unico e incomparabile, che ci racconterebbe il grado di civiltà raggiunta. Riguardo a queste cose, a “tenelle nascoste sono nulle”, sconosciute e inutili, così come chi le detiene; invogliate tali persone a consegnarli e “a passarli alla storia”, così anche i loro nomi saranno ricordati nel tempo”.

23 luglio 2015: “Tornando poi al museo archeologico di Spoleto, tra i materiali esposti ci sono monete che il professore Roncalli nel vederle a casa mia, a prima vista mi disse che erano fra le più antiche serie monetali in quanto realizzate a fusione. Furono raccolte da mio fratello Gino in località Piedipaterno, in un terreno franoso vicino al fosso e successivamente consegnate al museo. I ‘non efficienti deficienti’ li hanno attribuiti all’epoca romano-repubblicana, con una datazione da cui dissento e che è ‘uno scempio dei falsari di professione’. Riguardo alla località dei ritrovamenti, il ‘toponimo Piedi Paterno ci indica che a monte si trovava il vecchio padre, poiché esiste un tumolo parzialmente violato’ (…)”. 

In un altro pensiero datato al 26 giugno 2016 torna poi sul rapporto contrastato con gli archeologi, alla lentezza dell’apparato burocratico dello Stato, ma anche alla condanna dell’attività illegale degli scavatori abusivi: “(…) Fermiamo i clandestini e i falsari di storia spacciata per vera, mi riferisco in specie agli addetti ai lavori, che, per la loro trascuratezza e superficialità favoriscono il saccheggio, da sempre in atto, con danno enorme di archivi (siti ricchi d’informazioni, ndr) perduti. Esempio: negli anni ottanta accompagnai personale della Soprintendenza a un sopralluogo su monte Aspra; il luogo era quasi intatto, un sito importante da recuperare se si fosse proceduto d’urgenza con scavi di emergenza, invece l’hanno saccheggiato, perdendo così informazioni e la storia vera, importante, così come è stato poi per altri siti nel territorio (…)”.

A torto o ragione bistrattato da molti, da altri ancora deriso come un visionario, in un altro messaggio datato al 7 settembre 2016 scrive: “non mi sono inventato nulla: siamo ricchi di storia e di civiltà diffusa dai nostri antenati; ne sono testimoni le montagne che ci raccontano mentre le persone dimenticano, passano il tempo scambiandosi battute spesso banali. Pensando a questo mi domando se vale lo sforzo … ma andiamo avanti per chi ama il sapere e la conoscenza. Tramandarla è un piacere e un valore per tutti, chi ha più conoscenza può aggiungere altro”.


Bibliografia:

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Cordella R., Criniti N., Ager Nursinus, Storia, epigrafia e territorio di Norcia e della Valnerina romane, Biblioteca della deputazione di storia Patria per l’Umbria, Perugia, 2008, pp. 124-126.

Corona A., Recuperiamo il nostro patrimonio storico-archeologico, in AA.VV., Gli Etruschi in Valnerina: La biga di Monteleone di Spoleto, Edizioni Iter, Subiaco, 1985, p. 16. 

Di Pilla B., Monteleone: A Casale Iachetti affiora una necropoli, 2001.

Favetti C., Trovata un’urna cineraria a Forma Cavaliera, in «Corriere dell’Umbria Monteleone: Il nostro Indiana Jones.

Olivieri S., Per una diversa collocazione della città iguvina, Nuova Eliografica, Spoleto, 1989.

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 Olivieri S., Dalla città iguvina (Esperia) emigrano Dardano, Iasio e Teucro progenitori del Troiano Enea, Nuova Eliografica, Spoleto, maggio 1992.

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