Soldato Cicchetti Raffaele
Triste la vicenda della famiglia di Costantino e Annunziata Salamandra che piansero a distanza di poco piu’ di due anni la morte di due figli, Raffaele, il maggiore, e Francesco, di tre anni piu’ piccolo, accaduta su due fronti lontanissimi, i deserti libici e il Carso.
Costantino Cicchetti
Gia’ Costantino e Annunziata avevano perso il loro primo figlio Francesco nato il 10 aprile 1882 in tenera eta’ e successivamente avevano dato il medesimo nome al loro ultimo nato, e nel 1918, un altro loro figlio, Edoardo (6), nato l’8 febbraio 1885, che, ritornato dal fronte a causa della morte in guerra degli altri due fratelli (in quanto esonerato dal servizio effettivo sotto le armi con scadenza non fissa – circ. 552 Giorn. Militare 1917), si ammalo’ di febbre spagnola, morbo che colpi’ Ruscio con particolare virulenza.
Edoardo Cicchetti
Nel liber defunctorum della Parrocchia di San Nicola in Monteleone si legge:
Anno Domini 1918 die 13 Novembriis, Edoardus Cicchetti, filius Costantini, annorum 33, confessus, SS. Viatico refectus est et S. Olei unctione roboratus, animam deo redditit, eius corpus post exequias in pubblico Coemeterio sepultum est.
Raffaele, il maggiore dei due fratelli Cicchetti riportati sulla lapide, dunque, nasce a Monteleone di Spoleto il 24 aprile 1893, alto 1,67, torace 88 cm, di professione contadino, in congedo illimitato quale soldato di 1° categoria, fu inquadrato nel 48° reggimento fanteria il 7 dicembre 1914.
Albo d’Oro dei Caduti nella Grande Guerra (Volume Umbria (Vol XXV), Province: PG, Pagina: 100, Sub in Pagina: 14 e 15)
Il 13 dicembre 1914 fu imbarcato a Taranto con destinazione i territori della Tripolitania e la Cireaica, e vede, dunque, le proprie sorti divise da quelle dei suoi commilitoni che combattono, invece, insieme al grosso del 48° reggimento fanteria, inquadrato nella Brigata Ferrara, sul fronte di San Martino del Carso, sul Monte San Michele, sul Piave, meritando numerose citazioni sui Bollettini di Guerra.
Muta profondamente il teatro delle operazioni: dal fronte Carsico, caratterizzato da un territorio rotto e frastagliato, sferzato dal gelido vento della bora, al rovente deserto libico, ove si contrappone non un esercito regolare quale quello Imperiale, ma un numeroso stuolo di bande, in un contesto politico certamente variegato e di difficile comprensione per i nostri generali abituati a un’arte delle guerra ben diversa.
Porto libico (foto Ten. Gianni Peri)
Il 19 dicembre 1914, qualche giorno dopo lo sbarco di Raffaele sul suolo africano, il governatore della Tripolitania, ten. gen. Luigi Druetti comunica, ai comandi militari dipendenti, l’intenzione, di voler abbandonare l’interno della Colonia, per attestarsi saldamente sulla “linea costiera nelle sue localita’ principali, fra il confine occidentale e la Sirte, e la linea marginale del Gebel, fra Fessato e Homs” (circ. del 19/12/1914).
La notizia del previsto ripiegamento di numerosi presidi interni contribui’ ad alimentare la gia’ dilagante rivolta, addirittura coinvolgendo quelle tribu’ amiche che, lasciate al proprio destino, senza l’aiuto e l’appoggio italiano, avrebbero subito le sanguinose rappresaglie dei ribelli.
L’inattesa e pesante disfatta di Gars Bu Hadi, subita il 29 aprile 1915, ad opera principalmente dell’ammutinamento delle bande di Tarhuna e Msellata, passate ai ribelli Senussi, segno’ l’inizio della catastrofe militare e il crollo di tutto l’edificio politico-militare della Colonia.
La targa in ceramica posta sulla abitazione della famiglia in Ruscio
Dopo tale disastro, l’incendio insurrezionale dilago’ per tutta la colonia, mettendo in pericolo i presidi dell’interno: Tarhuna, Beni Ulid, Misurata, Sirte, oltre a numerosi piccoli villaggi disseminati ai margini dell’altipiano.
Dopo la fucilazione dei maggiori capi della citta’ di Tarhuna, macchiatisi di tradimento nella vicenda di Gars Bu Hadi, avvenuta nel forte della Sirte, la popolazione lascio’ il paese, abbandonando il locale presidio di Tarhuna nell’isolamento piu’ completo. Il Governo di Tripoli, preoccupato dagli sviluppi della situazione, decideva di rinforzare quel presidio, inviando un forte contingente di truppe, al comando del ten. col. Rossotti: un battaglione del 5° Bersaglieri, due compagnie del I libico, uno squadrone, plotone meharisti, oltre a una carovana di rifornimento. Partiti da Aziza il 12 maggio, la colonna Rossotti giungeva il giorno successivo all’Uadi Milga, dove pero’ incontrava consistenti forze ribelli ed fu costretta a ripiegare sull’Uadi Megenin, dopo aver rinviato alla base la colonna dei rifornimenti.
Da Aziza partiva allora in soccorso un’altra colonna, al comando del ten. col. Billia (XV eritreo, due compagnie del 48° fanteria a cui appartiene il Nostro, una batteria da montagna), che si univa alle truppe del Rossotti e proseguiva fino a Tarhuna, raggiungendo l’obiettivo il 16 maggio, ma senza i rifornimenti indispensabili alla sopravvivenza del presidio.
Riuscita ad entrare nel forte la colonna Rossotti – Billia, i ribelli ripristinarono il blocco, rendendo cosi’ ancora piu’ precarie le condizioni di vita delle truppe assediate, ammontanti, ora, a 2.600 uomini.
Fu inviata un’ulteriore colonna di soccorso, al comando del ten. Col. Monti che, partita da Aziza il 20 maggio, con una carovana di rifornimenti, e duramente attaccata a Ulid, fu costretta a ripiegare con gravi perdite.
A seguito di tale insuccesso si tento’ di portare aiuto al forte assediato da Nord, ma mentre la colonna del ten. Col. Cassinis si apprestava a muovere verso l’altopiano da Cussabat, giungeva notizia che il forte era caduto nelle mani dei ribelli.
Sul tragico destino del presidio di Tarhuna, e quindi del nostro Raffaele, si trova una particolareggiata relazione del cap. Moretti, gia’ residente militare del presidio, e, in aggiunta, una approfondita analisi del gen. Cadorna, che consente di ricostruire le fasi piu’ significative degli avvenimenti.
Viste le difficolta’ di ricevere aiuti dall’esterno, dopo aver informato il Governo di Tripoli, all’alba del 18 giugno il ten. Col. Antonucci, comandante del presidio di Tarhuna, decideva di abbandonare il forte e di ripiegare su Azizia.
La colonna Antonucci, composta da un battaglione dell’82° fanteria, XXII bersaglieri, una compagnia del 48° fanteria, XV eritreo, I libico, reparti del III libico, unita’ di artiglieria, cavalleria e un convoglio con feriti e borghesi per un totale di 1.500 nazionali e 700 indigeni, abbandonava, dunque, il forte.
Giunto all’altezza delle gole dei Valloni, la colonna veniva violentemente attaccata da forze preponderanti. Ben presto le nostre truppe, ormai scosse e in preda al panico, cedevano alla pressione avversaria e si dissolvevano rapidamente senza poter opporre resistenza. Gruppi di cavalleria nemica irrompevano allora sui resti della colonna in disordinato ripiegamento, facendone strage.
I dispersi arrivarono in ogni luogo ad Azizia, a Fonduc Ben Gascir e perfino a Ain Zara.
Il XV eritreo, autore delle esecuzioni al forte della Sirte, veniva interamente distrutto.
Dei 2.400 uomini costituenti la forza del presidio si salvarono 16 ufficiali, e 150 uomini di truppa fra nazionali ed indigeni.
La caduta di Tarhuna provocava il crollo di tutto il sistema difensivo compreso tra il Gebel Orientale e quello Occidentale.
Sul foglio matricolare di Raffaele Cicchetti si legge: “disperso nel fatto d’arme durante la marcia di ripiegamento da Tarhuna a Ainzara”, 18 giugno 1915.
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