Noi avevamo ricevuto un’educazione che
coltivava il rispetto per la persona, il sentimento
di umanità e il concetto di libertà e di giustizia
come valori che si identificano con la vita stessa .
Dragutin Drago V. Ivanović
I campi di concentramento della Seconda guerra mondiale
Quanti di noi sanno dell’esistenza in Italia, durante la Seconda guerra mondiale, di campi di concentramento? E quanti di noi sanno che solo nella nostra regione furono allestiti sette campi di internamento?
L’effettiva entità delle deportazioni di civili e delle persecuzioni politiche e razziali messe in atto dall’Italia fascista è stata spesso minimizzata e ignorata in nome del mito degli “italiani brava gente”, diffuso nel periodo post bellico dopo un ventennio di dittatura, soprusi e dopo un conflitto dalle conseguenze devastanti. Per lungo tempo, dunque, le strutture concetrazionarie sono rimaste un fenomeno rimosso dalla memoria collettiva. Solamente da alcuni anni, sono stati realizzati studi importanti su questo tema che hanno rivelato la presenza di numerosi campi di concentramento, istituiti, soprattutto, nell’Italia centro-meridionale, nelle zone d’occupazione e nelle colonie africane, prima dell’8 settembre 1943, per realizzare una politica di repressione e di isolamento di tutti quei soggetti ritenuti “pericolosi o sospetti” per il regime. Il prof. Capogrego, autore del testo I campi del duce, negli anni ottanta intraprese un lungo viaggio che lo portò a visitare tutti i luoghi dei campi italiani, constatando personalmente lo stato di abbandono o la completa distruzione degli edifici o delle barecche, conseguenza, quindi, di un mancato riconoscimento sociale come luoghi di memoria.
I campi, già previsti dalle convenzioni internazionali come forma di tutela per le nazioni in guerra e di controllo dei sudditi nemici, vennero utilizzati impropriamente dal regime per colpire oppositori politici e minoranze etniche e religiose. L’esempio più drammatico, probabilmente, si verificò nei territori jugoslavi, occupati o annessi dopo l’invasione nazi-fascista del 6 aprile 1941. L’esercito italiano ricorse a metodi repressivi che prevedevano l’incendio dei villaggi, la fucilazione di ostaggi civili e la deportazione di massa della popolazione civile nei campi di concentramento per slavi, nel tentativo di mettere in atto il processo di snazionalizzazione dei territori occupati . I campi di concentramento allestiti in Italia e negli stessi territori invasi e gestiti dal Regio Esercito, costrinsero i reclusi a un internamento durissimo che portò alla morte migliaia di persone, tra cui molti bambini.
Sebbene questo istituto rappresenti lo strumento della politica repressiva adottata dagli Stati totalitari nella Seconda guerra mondiale, ha origini, ben più remote. L’espressione “campo di concentramento”, con entrambi i termini appartenenti al vocabolario militare, è diventata di uso comune nei paesi occidentali tra il 1914 e il 1918. Il fenomeno concentrazionario nacque all’inizio del secolo, durante le guerre coloniali e si diffuse in maniera sistematica nella Prima guerra mondiale. I campi per civili e per prigionieri di guerra si moltiplicarono sempre più, tanto che nel 1916 se ne contavano centinaia, non solo in Europa ma anche in Africa, India, Australia, Canada e persino in Giappone. Nei territori jugoslavi annessi, le autorità militari italiane si servirono per l’internamento dei civili di diversi campi di concentramento. Le strutture principali furono tre: il campo di Arbe per le esigenze del quadrante adriatico settentrionale(il Fiumano e la Slovenia); il campo di Melata (Molat) per l’area centrale (la Dalmazia); i campi diMamuka e Prevlaka per il quadrante adriatico meridionale (le Bocche di Cattaro, territorio montenegrino che venne accorpato alla Dalmazia annessa all’Italia come “Governatorato civile” nel 1941). Tra questi il campo di maggiori dimensioni fu quello allestito sull’isola di Arbe e da esso dipesero per il movimento degli internati, cinque grandi campi italiani per internati jugoslavi: Gonars e Visco nella Venezia Giulia; Monito e Chiesanuova in Veneto; Renicci in Toscana.
L’internamento, inteso quale misura restrittiva della libertà personale stabilita per via amministrativa, consiste nella costrizione di individui in particolare strutture abitative (di solito campi cintati detti “campi di concentramento” o “campi di internamento”) o in località distanti dal fronte e dai confini dello Stato (da cui il termine internare) . L’internamento viene preceduto dall’arresto degli individui pericolosi o sospetti, sottoposti in genere, prima di essere effettivamente internati , a periodi di detenzione e tragitti di deportazione. Possiamo distinguere due tipologie di internamento civile:l’ internamento libero (o in località) che consisteva nell’obbligo di residenza in determinate località, generalmente piccoli centri posti nelle zone più interne e disagiate della penisola,; l’internamento in campi di concentramento che preveda la costrizione degli internati in apposite strutture, che potevano essere costituite da edifici riadattati o da veri e propri campi a baraccamenti. Una sostanziale differenza c’era tra i campi di concentramento gestiti dall’ ministero dell’Interno e quelli gestiti dal Regio Esercito. I primi “regolamentari” possedevano una legalità formale, riconosciuta dalla Croce Rossa e da gli stessi paesi in guerra contro l’Italia.
I secondi “paralleli”, (come li definisce Carlo Spartaco Capogreco nel testo che abbiamo citato), poichè svincolati dalla normativa attuale, come pure dal controllo della Croce Rossa internazionale e privi di qualsiasi tutela per gli individui internati. Sebbene l’internamento civile rientrasse tra le specifiche competenze del ministero dell’Interno, durante la seconda guerra mondiale furono, di fatto, le autorità militari italiane e non quelle civili, a ricorrere maggiormente all’uso di tale pratica. Il Regio Esercito praticò l’internamento dei civili su larga scala soprattutto nelle aree della Jugoslavia annesse o occupate nel 1941. Fu così che negli anni 1942-1943, parallelamente a quella regolamentare istituita dal ministero dell’Interno a partire dal 1940, si venne a sviluppare in Italia una seconda rete solo per internati civili jugoslavi, composta da sei grandi campi sottoposti all’autorità militare: Gonars, Monito, Chiesanuova, Renicci, Colfiorito e Visco. Tali campi, nella cui gestione ebbero un ruolo fondamentale gli “uffici prigionieri di guerra” del Comando Supremo dello Stato Maggiore, vennero allestiti in caserme funzionali dell’esercito e in strutture originariamente destinate alla prigionia di guerra.
Luoghi di concentramento in Umbria (1942-1943)
I campi per slavi dell’internamento civile “parallelo” funzionanti, per periodi diversi, tra il 1942 e il 1943 .
Periodo di effettivo funzionamento dei campi per slavi dell’internamento civile “parallelo”
Ruscio: Il campo di lavoro n° 117
La miniera di lignite di Ruscio, gestita dalla Società Mineraria Umbra, durante la Seconda guerra mondiale fu un campo per prigionieri di guerra slavi. Nell’aprile del 1943, 87 internati civili di Colfiorito vennero distaccati a Ruscio e impiegati nella miniera di lignite, come in precedenza avevano fatto i prigionieri di guerra loro connazionali.
Il campo di lavoro si trovava nella località chiamata Camponero e distava circa 200 m dalla miniera e meno di 2 km dal centro abitato. Comprendeva una baracca dormitorio, la cucina con refettorio, una baracca adibita a magazzino e i servizi. Fuori dal reticolato di cinta vi era la baracca del corpo di sorveglianza e quella del comando. Una giornata di lavoro di otto ore fruttava agli internati circa 15 lire e a volte, grazie a delle concessioni “speciali”, ricevevano una doppia razione di cibo e buoni da 1 lira e da ½. Generalmente, i detenuti di origine slava che rappresentavano la maggioranza erano quelli più dediti al lavoro
In seguito agli avvenimenti dell’8 settembre, il comandante del campo, il capitano Arnaldo Mutti, decise di sciogliere il campo di Ruscio, riportando gli internati a Colfiorito .
Alcuni di loro fuggirono dalla miniera e si unirono alla Brigata Gramsci, costituendo due battaglioni Tito 1 e Tito 2, per la lotta partigiana contro l’occupazione tedesca . Altri deportati, secondo le testimonianze , vennero accolti nelle famiglie dei minatori “rusciari”, ricevendo vitto e alloggio in cambio della loro forza lavoro
La ricerca archivistica realizzata presso l’Archivio dell’Ufficio Storico dello Stato Maggiore dell’Esercito ci ha permesso di consultare le buste contenenti la documentazione originale dell’ufficio prigionieri di guerra e di ricostruire l’attività del campo di lavoro di Ruscio,. dall’agosto del 1942 al marzo del 1943. I campi per prigionieri di guerra nei carteggi tra comandi venivano indicati con un numero, quello corrispondente al campo di Ruscio era il 117 e il numero della Posta militare (PM) era il 3300.
Dal materiale raccolto è emerso che dal 15 al 30 agosto 1942 erano presenti a Ruscio 51 prigionieri di guerra da liberare, tra questi 2 montenegrini, 43 nuovi italiani (albanesi, sloveni e annessi), 6 croati. Di questi prigionieri ne venne liberato soltanto uno di nazionalità albanese il 16 novembre 1942. A partire dal 1 settembre c’erano nel campo 100 prigionieri di guerra di cui 49 serbi, 2 montenegrini, 43 italiani-albanesi e 6 croati, per un totale di 100 soldati di nazionalità slava.
Nei primi mesi del 1943 a causa delle gravi condizioni di salute della maggior parte dei deportati, la miniera fu trasformata da campo per prigionieri di guerra a campo per internati civili. Tutti i prigionieri ammalati o invalidi furono trasferiti al campo 62 (Colfiorito), mentre coloro che erano in grado di lavorare vennero “spediti” al campo 115 (Spoleto). Arrivarono, dunque, da Colfiorito gli internati civili di origine montenegrina e il campo divenne una sede distaccata del campo 115, perdendo la sua autonomia amministrativa. Di seguito riportiamo la circolare relativa alla sistemazione del campo 117 .
Angelo Perleonardi, figlio di Mario Perleonardi che lavorò nella miniera di Ruscio, ha conservato due foto, in cui un cardinale fa visita al campo di lavoro. Una testimonianza davvero significativa poiché dalle foto si vede uno scorcio della disposizione delle baracche e il reticolato di cinta. Dalle preziose indicazioni del Gen. C. A. Alfonso Pessolano, si rileva che il Sacerdote e’ un Cappellano militare di elevato grado, probabilmente l’Ordinario Militare, alla sua destra, in fig. 1, un militare italiano, capitano di fanteria.
Nella seconda imagine, il militare che indossa come copricapo una “bustina” e’ probabilmente il capo prigioniero del campo, di nazionalita’ jugoslava.
Visita di un prelato al campo di Ruscio (*)
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Riceviamo, in data 07/12/2010, dallo storico Dino Renato Nardelli, dell’Istituto per la Storia dell’Umbria Contemporanea, ulteriori informazioni: Si tratta della visita del Nunzio Apostolico Francesco Borgoncini Duca, incaricato dal Papa di visitare i campi di internamento fascisti (quello di Pissignano fu visitato il 9/12/1942). Il Capitano di Fanteria potrebbe essere il comandante del campo Arnaldo Mutti.
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Di seguito riportiamo le presunte date di liberazione e il numero dei deportati raccolti nelle buste dell’ufficio prigionieri di guerra.
Specchio dei prigionieri di guerra da liberare , divisi per nazionalità e grado
Presunta data di liberazione | Nazionalità | Grado | Numero | Totale |
Dal 15 al 31 agosto 1942 |
Montenegrini Nuovi italiani Croati |
sottuff/truppa sottuff/truppa sottuff/truppa |
1/ 1 7/ 36 1/ 5 51 |
51 |
Dal 1 al 15 ottobre 1942 |
Montenegrini Nuovi italiani (albanesi, sloveni e annessi) Croati Nuovi tedeschi (bulgari, rumeni e ungheresi) |
sottuff/truppa sottuff/truppa truppa truppa |
2/ 3 3/ 36 1 11 |
56 |
Dal 15 al 30 novembre 1942 |
Montenegrini Nuovi italiani Croati Nuovi tedeschi |
Sottuff./truppa Sottuff./truppa Truppa Truppa |
2/ 3 3/ 35 10 1 |
54 |
31 dicembre 1942 |
Croati Albanesi Montenegrini Nuovi italiani |
truppa truppa truppa truppa |
11 24 5 13 |
53 |
Dal 15 febbraio al 15 marzo 1943 |
Croati Albanesi Montenegrini Nuovi italiani |
truppa
truppa truppa truppa |
11 24 5 13 |
53 |
Situazione dei p.g. greci ed ex jugoslavi suddivisi per nazionalità e grado
Data | Nazionalità | Grado | Numero | Totale |
1 settembre 1942 |
Serbi Montenegrini Albanesi e nuovi italiani croati |
sottuff/truppa sottuff/truppa sottuff/truppa sottuff/truppa |
13/36 1/1 7/36 1/5 |
100 |
30 settembre 1942 |
serbi ex croati albanesi e nuovi italiani montenegrini altre nazionalita’ (bulgari , ungheresi) |
uff. inferiori /truppa truppa sottuff/truppa uff. inferiori/truppa truppa |
13/30 11 3/36 2/31
|
99 |
31 ottobre 1942 SerbiCroatiAlbanesi e nuovi italianiMontenegriniAltre nazionalità (bulgari, rumeni, ungheresi) sottuff./truppasottuff./truppasottuff./truppasottuff./truppatruppa 15, 282, 91, 382, 311 99
30 novembre 1942 SerbiCroatiAlbanesi e nuovi italianiMontenegriniAltre nazionalità sottuf./ truppatruppasottuf./truppasottuf./truppatruppa 13, 29103, 352, 31 96
15 novembre 1942 SerbiCroatiAlbanesi e nuovi italianiMontenegrini Altre nazionalità sottuf./truppatruppasottuff./truppasottuff./truppatruppa 13, 29113, 362, 31 98
Situazione dei p.g dell’impero britannico e suoi alleati suddivisi per nazionalità e grado
Data Nazionalità Grado Numero Totale
30 novembre 1942 InglesiCanadesiAustralianiSud-africaniCipriotiMediorentaliItalianiDegaullistiAmericaniAltre nazionalità (norvegesi, polacchi, svedesi, cinesi) ———truppa 0000000005 5
Confrontando le interviste realizzate ai minatori di Ruscio e i dati raccolti nell’ufficio prigionieri di guerra, abbiamo notato un’incongruenza, i testimoni ci parlano della presenza nel campo di tre indiani, mentre non c’è alcuna traccia di questi negli specchi, probabilmente, allora, si trattava di internati civili gestiti dall’ ministero dell’Interno e quindi del periodo in cui il 117 fu trasformato da campo per prigionieri di guerra a campo per internati civili.