Il nostro Paese, come tante località dell’entroterra italiano, ha conosciuto in tempi diversi il triste fenomeno dell’emigrazione.
Dai primi anni del novecento in tanti hanno lasciato la nostra terra, creando una nuova vita a Roma, a Rieti o addirittura in America. La ragione prima di questi esodi è sempre stata la difficoltà di trovare un lavoro, un’occupazione che permettesse una vita dignitosa alla propria famiglia. Se si escludono infatti i lavori legati alla terra o ai boschi che ci circondano, le iniziativi economiche o imprenditoriali sono sempre state particolarmente limitate.
L’asperità del terreno, la lontananza dalle principali vie di comunicazione ed il clima difficile non hanno mai favorito nessun insediamento economico se si escludono pochi iniziative familiari, lasciando, di contro, il territorio pressoché vergine con una natura rigogliosa ed incontaminata. E questo stato di cose nel tempo non è cambiato.
“NON METTETE I BANDONI ALLE FINESTRE!!”, ha detto un giorno un caro amico di Ruscio: “TRA UN PO’ DI TEMPO QUESTO PAESE SARÀ UN PAESE FANTASMA!! ALTRO CHE BANDONI ALLE FINESTRE!! SARANNO NECESSARI I VIGILANTES PER CONTROLLARE LE CASE!!
Anch’io mi sono sentito un po’ in colpa per quei bandoni, anche se ho chiarito che sono solo un mezzo per preservare gli infissi in legno dal sole o dalle intemperie invernali. Di certo non vogliono essere una mancanza di rispetto per il paese e per i suoi abitanti.
Ma non si può negare che quei bandoni aggiungono un senso di chiuso, di tristezza, di mancanza di vita in un paese che nei mesi invernali sembra già abbandonato. E passeggiando per le vie di Ruscio d’inverno tornano alla memoria i tempi andati quando tante erano le famiglie che vi risiedevano, tanto i ragazzi, i bambini, le scuole funzionanti e gli animali nelle aie.
Ci si può chiedere il perché di questo stato di cose e certamente la risposta è sempre quella. Quali sono le prospettive lavorative che ci sono a Ruscio? Poche o nessuna. Sono rimaste quelle attività più che artigianali (come in un vecchio castello feudale, dove c’era il ciabattino, il fabbro, il fornaio, il macellaio per far fronte alle necessità primarie della comunità) o il lavoro agricolo implementato e migliorato. Ed in questo contesto di non rosee prospettive possiamo capire perché un giovane – ricevendo tanti input esterni – si ponga la domanda “ma io qui che ci sto a fare? perché non posso vivere altrove??
E allora si pensa di andare via, di spostarsi. E la galleria di Santa Anatolia tanto osannata perché avrebbe potuto eliminare l’isolamento montanaro e divenire lo strumento per accogliere gente e creare nuove prospettive, ha sortito l’effetto inverso. Oggi è attraversata per lo più per andare via, per cercare nella fertile terra spoletina quel lavoro che nel nostro territorio manca.
E quest’esodo continuerà implacabile perché non si può vivere solo di assistenza, di pensioni o di salari comunali. E’ vero che forse manca la progettualità imprenditoriale dei singoli ma è altrettanto vero che questa non è stata mai appoggiata o sollecitata dalle istituzioni locali.
Da sempre la struttura urbanistica del Comune di Monteleone di Spoleto è rimasta uguale a se stessa. Oltre ai mobilifici, ai capannoni agricoli nulla è mutato.
Si è forse puntato sulle bellezze naturali, sulla loro salvaguardia o magari sul recupero della famosa biga etrusca. E lo sviluppo turistico – con le ovvie conseguenze economiche – è una strada che si può percorrere, che può dare prospettive se valorizzata e venduta in modo opportuno per dodici mesi l’anno: ma non bastano, allora, le sagre paesane o i camperisti che ogni tanto si ricordano di noi! tanta bellezza salvaguardata può andare bene per chi da queste parti ci passa qualche settimana d’estate. E per chi ci deve vivere?
Mi sono permesso di scrivere queste parole dopo avere ascoltato da alcuni amici le loro preoccupazioni, la mancanza di prospettive che accompagna la vita dei loro figli. E’ una realtà amara che forse noi romani non cogliamo pienamente, dato che per noi Ruscio rimane solo un quieto rifugio per i mesi estivi. Non ci viviamo e anzi forse facciamo di tutto perché così sia, posto eletto dove rifugiarsi e staccare la spina dalla frenesia di Roma.
Ma non si chiedono fabbriche o mega impianti, ma almeno la definizione di un’area commerciale o industriale dove chiunque possa avviare un’attività che crei una speranza, determini lavoro e con questo automaticamente ricchezza e benessere.
Tanti tentativi sono miseramente falliti: penso alla maglieria, alla cooperativa “Verde Appennino”. Non conosco i motivi eppure in altri posti le cooperative sono riuscite a diventare il locomotore delle economie locali!! Perché doversi svegliare alle 5 di mattina per fare i muratori a Foligno quando forse si potrebbe lavorare sulla propria terra?
In questo contesto, pur nell’assoluta laicità dell’associazione e nella giusta politica sempre seguita di non schierarsi con nessuno e rimanere fedele ai propri fini associativi, ritengo giusto che sulle pagine di questa Barrozza siano anche evidenziati questi aspetti. Guardiamo sempre al passato, trascriviamo i nostri ricordi: eppure un occhio va gettato anche al futuro, quando questo coinvolge i soci, gli amici, la loro vite e delle loro famiglie.
Poco possiamo fare se non incitare qualsiasi compagine che governa e governerà il comune di Monteleone ad avere un atteggiamento più lungimirante nei confronti del lavoro, più aperto, con una maggiore progettualità. Non ci si deve spaventare se un panorama idillico possa improvvisamente cambiare e se su un verde prato possa sorgere qualche capannone industriale con ovvie prospettive di lavoro.
Come Associazione ci siamo sempre adoperati per valorizzare Ruscio e abbiamo realizzato piccole cose per renderlo vivo almeno nel periodo estivo. Più di questo non possiamo fare perché non possiamo sostituirci alle istituzioni. Fortunatamente, a fronte di tante gratuite maldicenze, qualcuno ha evidenziato come il paese precipiti in un lungo letargo quando la PRO LOCO chiude i battenti.
E a quel punto appaiono i bandoni, anche quelli di casa mia. Sono brutti è vero e sarebbe bello se con il tempo al loro posto tornassero le finestre aperte, con la gente, con i bambini dietro i vetri. Può essere un sogno, una speranza, ma al momento è soprattutto un incitamento perché chi può e deve agire, agisca.