Quaderno di Ruscio n. 3 anno 2003 a cura di Francesco e Stefano Peroni
Aggiornamenti
Il mortaio
[aggiornamento del 18/09/2018]
Con riferimento al mortaio presente di fronte al monumento, abbiamo due ulteriori specifiche:
[…] il buon Vittorio [Peroni], come dipendente dell’allora Ministero della Guerra di Via XX Settembre, si adoperò in prima persona per reperire e trasportare a Ruscio il mortaio che oggi è posto simbolicamente ai piedi del monumento ai caduti.
Chiedendo ad un Capo Divisione dove potesse trovare un pezzo bellico, ovviamente in disuso, gli fu indicato un magazzino che si trovava nella caserma della Batteria Nomentana. Ma Vittorio, come racconta Angelo, sulla base delle indicazioni ricevute, prelevò e trasportò a Ruscio un mortaio vero e proprio, perfettamente funzionante. La cosa non passò completamente inosservata ed il nostro ardito ebbe anche qualche piccolo problema per “sottrazione di materiale bellico”.
Alla fine il tutto si risolse nel migliore dei modi quando fu appurata la totale buona fede e la finalità certo non bellicosa del gesto.
Vannozzi Pierpaolo, Ruscio in pillole, in La Barrozza, Natale 2001 – anno X n.3
[…]Si tratta di un residuato bellico, per la precisione e’ un mortaio da 60mm, modello 1935, di fabbricazione francese, privo solo del congegno di collimazione e puntamento, portato a Ruscio, nei primi anni ‘50, da Vittorio Peroni, padre del rimpianto Angelo, che all’epoca era dipendente dell’allora Ministero della Guerra di Via XX Settembre, grazie anche alla determinate collaborazione di Vincenzo Vannozzi.
L’arma e’ stata completamente smontata, alcune parti, danneggiate dal trascorrere del tempo, sono state ricostruite e sostituite; e’ stata recuperata la vernice originale, tutti gli snodi sono stati ripristinati e opportunamente oliati. Infine, e’ stato posizionato “come da libretta” ricostruendo una sorta di postazione di tiro. Per tale attivita’ dobbiamo ringraziare, oltre al nostro Presidente Ottaviani, anche Francesco Starna e Ulisse Bernardi, amici e appassionati (ma chi non lo e’) del nostro Ruscio.
S.I.A., Una nuova piazza per Ruscio, in La Barrozza, Estate 2009 – anno XVIII n. 2
Giuseppe De Angelis
[aggiornamento del 18/09/2018]
Riportiamo le fotografie della Medaglia, conservata dalla famiglia De Angelis, e che ogni anno viene appuntata sulla Bandiera della Associaizione Combattenti e Reduci, in occasione dell’annuale cerimonia di Commemorazione dei Caduti di Tutte le Guerre.
[aggiornamento del 03/02/2023
Il 30 aprile del 1887, a Spoleto, Distretto Militare di appartenenza del nostro, furono tributati solenni onori ai Caduti di Dogali, come del resto venne fatto in tutto il Regno per la grande eco che aveva destato la sconfitta subita, in occasione della inaugurazione di una lapide a loro dedicata.
“Intervennero autorità civili e militari, i Sindaci dei Comuni del distretto di Spoleto, i deputati Fani , Arbib e Franceschini, non che Panucci Paris, ferito a Dogali, di Terni. V’erano le associazioni operaie e dei reduci, parlò il Sindaco Benedetti applauditissimo. Indi furono dispensate la medaglie commemorative alle famiglie e ai feriti di Dogali. La folla si sciolse al suono della Marcia Reale. La stampa era rappresentata” (nota dell’agenzia Stefani, citata sul sito www.umbriasud.com: https://umbriasud.com/2017/04/30/5005/)
La lapide è ancora affissa sulla ex sede del Distretto di Spoleto, già palazzo dei Gesuiti, di fronte alla Caserma Minervio.
Purtroppo, come si puo’ constatare dalla recente fotografia qui pubblicata, ormai quasi del tutto illeggibile.
Dalla agenzia precedentemente citata, si puo’ desumere il motivo per il quale, erroneamente, il nome del Caduto De Angelis, sulla lapide del Monumento ai Caduti di Ruscio sia affiancato dalla scritta “Med. d’oro”, come del resto si legge anche sulla targa toponomastica posta ad indicare la via di Ruscio a lui intitolata.
La medaglia commemorativa, consegnata con tutti gli onori a Spoleto appena tre mesi dopo la disfatta, come si puo’ osservare dalle immagini riportate, è di bronzo dorato. Per tale motivo, riteniamo che all’epoca i concittadini di Ruscio abbiano equivocato sulla onorificenza concessa al loro paesano, che, invece, come si evince dal decreto del 24 febbraio 1887, era stato insignito della ben piu’ importante Medaglia d’Argento al Valor Militare.]
[aggiornamento del 12/05/2023
[aggiornamento 08/9/2023]
Di seguito riportiamo la descrizione degli antefatti della battaglia e dello svolgimento della stessa, tratti dalla Tesi di Dottorato di Ricerca dell Dr.ssa Camen Belmonte, citata ampiamente, da parte del Prof. Leandro Lucchetti, nel corso della Conferenza “Saati e Dogali”, tenutasi nella Sala del Museo Civico di Monteleone di Spoleto il 3 settembre 2023 dallo storico Mario Salvitti.
Riteniamo tale citazione molto interessante ai fini della comprensione del reale svolgimento dei fatti, poi, per motivazioni politiche, esposti alla pubblica opinione in maniera evidentemente distorta.
Respinto l’attacco a Saati, furono richiesti dei rinforzi mediante il telegrafo e così al tenente colonnello Tommaso De Cristoforis venne ordinato di partire con una colonna della fanteria italiana quella stessa notte e, una volta giunto sul posto, di valutare la situazione decidendo se fossero necessari altri rinforzi o se fosse il caso di rientrare al suo presidio. Il pericolo era stato evidentemente sottovalutato: si dava per scontata una ritirata immediata e definitiva di Ras Alula, o più probabilmente prevaleva la presunzione della superiorità dell’esercito italiano, per cui si era convinti che anche piccoli reparti, ben addestrati, potessero essere in grado di battere forze abissine di qualsiasi entità.
La colonna si mise in marcia solo alle 5,20 del 26 gennaio con cinquecentoquaranta soldati (alcuni dei quali appena giunti nella colonia), due vecchie mitragliatrici Gatling abbandonate a Massaua dagli egiziani e un’avanguardia di circa cinquanta basci-buzuk.
Dopo la sconfitta di Saati Alula non si era ritirato, ma, strategicamente, si era posizionato nel punto più adatto a sorprendere l’arrivo della colonna di soccorso. Era in possesso di informazioni dettagliate relative all’ora di partenza, agli effettivi e alle armi possedute, fornitegli dai molti abissini residenti a Massaua che nei giorni precedenti avevano improvvisamente abbandonato le proprie attività per combattere al fianco del ras. La diserzione durante la marcia di gran parte dei basci-buzuk avrebbe dovuto allarmare la colonna italiana e invece, secondo quanto riferito dal capitano Carlo Michelini, l’atmosfera in cui si marciava era piuttosto rilassata: «In noi non v’era alcuna preoccupazione, si chiacchierava allegramente […]» .
Poco dopo le 8,00 mentre la colonna attraversava la conca di Dogali e si trovava ad appena un’ora da Saati, in una regione di basse colline e forre gli esploratori segnalarono la presenza di forti concentramenti di armati abissini. L’esercito avversario era ancora distante, ma accorreva, secondo le prime stime, con circa diecimila guerrieri. Se in tali condizioni le strategie militari e il buonsenso avrebbero suggerito un ripiegamento, diversamente, il colonnello de Cristoforis, chiamati i capitani a rapporto, optò per una resistenza ad oltranza. Venne scelta come posizione di difesa un colle sulla destra della carovaniera, che si rivelò facilmente aggirabile ed esposto al tiro, quando le colline intorno ad esso vennero occupate dai soldati di ras Alula.
Il conte Augusto Salimbeni, prigioniero di ras Alula, era stato condotto sul luogo del combattimento e così descrisse la battaglia: «Di là potei scorgere come gli abissini, che arrivavano come formiche si disponessero a circuire la posizione degli italiani, ordinandosi a stormi su due ampi circoli presso a poco concentrici. Ho apprezzato che le forze abissine salissero alla cifra di 20 mila uomini» per la «maggior parte armate di lancia e scudo e di sciabole pesanti; i fucili sono in numero minore, ma rilevante […]. Mentre la colonna de Cristoforis sosteneva un fuoco violentissimo, gli abissini eseguivano il loro movimento di accerchiamento, mettendosi al coperto dietro alle pieghe del terreno […] per cui mi sembrava che il fuoco tenuto dai nostri, fatto a distanza rilevante e contro un bersaglio piccolissimo, non avesse quell’efficacia che si sarebbe voluta. Poco oltre il mezzogiorno gli uomini di ras Alula avevano compiuto un movimento girante […] Si dette il segnale dell’attacco; i tamburi e i tamburelli del ras non cessavano di battere, ed all’improvviso da ogni parte, come se sbucassero da terra, una tempesta di uomini si lanciò all’attacco, la cavalleria stessa abissina caricò sul fianco dell’altura e in pochi minuti tutto fu finito» .
Il fuoco inoltre ebbe breve durata poiché le due mitragliatrici egiziane si incepparono in breve tempo e i fucili Vetterly erano stati caricati con proiettili di cartucce a mitraglia da sentinella e perciò causavano solo lievi ferite7. Alle 8,30 fu inviata la prima staffetta a Monkullo per avvertire il comandante a Massaua dell’attacco abissino, ma il rinforzo inviato da Massaua giunse troppo tardi, quando gli italiani avevano ripiegato su un colle più alto che li costringeva ad ammassarsi pericolosamente e, completamente circondati dagli abissini e ormai privi di armi da fuoco, furono costretti ad affrontare il breve scontro finale corpo a corpo, con le baionette, i calci dei fucili, i sassi, fino a soccombere. Nella narrazione di Salimbeni è presente un particolare destinato a divenire una componente della leggenda di Dogali: «non si dette quartiere neppure ai feriti, che per ordine espresso di ras Alula vennero tutti trucidati e turpemente mutilati» .
Una descrizione ancor più dettagliata di tanta crudeltà viene riportata nel Rapporto ufficiale compilato in base alle testimoniante fornite dal Capitano Michelini, dal Tenente Comi, che era a capo del nucleo dell’estrema avanguardia, e dai feriti ricoverati a Massaua. «Verso le 11.30 circa si può ritenere abbia cessato completamente il combattimento. Incominciarono allora scene d’orrore e di efferata crudeltà; i poveri nostri caduti vengono spogliati, denudati, oltraggiati; con sassi, colpi di lancia, di sciabola e d’arma da fuoco sono colpiti quelli che ancor danno segni di vita, alcuni vengono evirati, altri abbruciati; finalmente dopo una ridda feroce sui corpi dei nostri gli Abissini si allontanano asportando armi, indumenti, quanto insomma possono rinvenire sul campo di battaglia. Quelli dei nostri che scamparono all’eccidio devono la loro salvezza all’essere stati creduti morti in seguito alle ferite riportate, od all’essersi finti tali» .
Il racconto è però smentito dall’evidenza degli eventi documentati da altre fonti e confermati nel passo successivo dello stesso Rapporto: circa novanta feriti, molti dei quali senza alcun aiuto, raggiunsero nei giorni successivi le linee italiane. Pertanto la causa di morte di tanti soldati italiani non fu la crudeltà degli abissini, ma l’incuria e l’incapacità italiana di coordinare efficacemente i soccorsi. Difatti la ricognizione sul campo di battaglia, comandata dal capitano Tanturri, fu affrettata e superficiale, poiché, terrorizzati da possibili ulteriori attacchi, i ricognitori raccolsero pochi feriti e, scoraggiati dell’imbrunire, rinunciarono a perlustrare l’altro versante della collina. I feriti meno gravi lasciati sul campo vennero risvegliati da un diluvio scatenatosi in quelle ore e quelli tra loro che protestarono accusando le alte cariche militari di essere stati spinti al massacro e poi abbandonati sul campo, vennero trattenuti a Massaua e inviati per ultimi a Roma .
Per ulteriore approfondimento e note bibliografiche rimandiamo a: Carmen Belmonte UNIVERSITÀ DEGLI STUDI DI UDINE CORSO DI DOTTORATO DI RICERCA IN STORIA DELL’ARTE XVII CICLO TESI DI DOTTORATO DI RICERCA ARTE E COLONIALISMO IN ITALIA TRA OTTO E NOVECENTO Dinamiche politiche e strategie visive nella prima guerra d’Africa ANNO ACCADEMICO 2016-2017.
Marco Angelini
aggiornamento del 22/08/2015
In occasione del Centenario della Grande Guerra, l’Associazione Pro Ruscio ha organizzato una Manifestazione “La Grande Guerra in Valnerina”, che ha ottenuto il grande onore di utilizzare il logo ufficiale delle Celebrazioni del Centenario della Prima Guerra Mondiale della Presidenza del Consiglio.
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Durante la Cerimonia di inaugurazione del monumento “Una pietra dal Piave”, fu presentato il volume:
Attilio Pasquali
aggiornamento del 07/01/2017]
Della vita in prigionia di Attilio non abbiamo alcuna notizia ufficiale, possiamo soltanto ipotizzarla, sulla base delle ricerche storiche effettuate.
A Sprottau era installato, sotto il comando del V Corpo d’Armata tedesco, a circa tre chilometri dalla città, nei pressi dell’aeroporto, alla cui costruzione i prigionieri abili lavoravano, un campo di prigionia (Kriegsgefangenenlager) per truppa e sottufficiali di numerose nazionalità – Russia zarista, Serbia, Romania, Italia, Belgio, Inghilterra e Francia – con annesso un ospedale (Lazarett) destinato ai numerosi soldati ammalati di tubercolosi, che, con grande probabilità, accolse il nostro giovane compaesano.
Il campo era molto esteso a tal punto che venne chiamato “la piccola città delle caserme”; era dotato di una panetteria, orto, una sala comune e addirittura aveva una propria moneta.
Nei pressi del campo, ove tuttora si conserva un piccolo monumento commemorativo realizzato dagli stessi prigionieri, era presente un Cimitero Militare, nel quale, presumibilmente, fu tumulato il nostro Attilio.
Successivamente riesumato, venne trasferito nel Cimitero Militare Italiano di Breslavia, costruito dal Governo Italiano, per raccogliere e dare degna sepoltura ai 1.016 soldati italiani deceduti nei campi di prigionia della Bassa Slesia, tra cui appunto Szprotawa.
Oggi riposa ancora là, lontanissimo da casa.
Giovanni Carassai
Aggiornamento 11 marzo 2018]
Con l’informazione dell’avvenuta sepoltura terminavano le notizie in nostro possesso sulla vicenda di Giovanni.
Nel marzo 2018, troviamo una interessante traccia: nel Registro delle Sepolture del Cimitero di S. Anna, si riscontrava la sepoltura di un giovane soldato di 22 anni, del 141 Reggimento Fanteria, deceduto il 23 marzo 1919.
Il suo nome CORRAZAI GIOVANNI. Nome di battesimo, Reggimento, età, data del decesso e luogo del decesso – nel registro venne indicata Via F. Severo, dove si trova, tuttora, l’edificio dell’Ospedale di Trieste, oggi trasformato in una residenza per universitari.
Solo il cognome riporta una variazione: raddoppiata la “R”, trasformata in “Z” l’ultima consonante. Nessun altro soldato mori’ quel giorno. Nel Registro degli Atti di Morte del Comune di Monteleone di Spoleto abbiamo la certezza che il nostro Giovanni sia stato sepolto nel Cimitero Militare di Trieste, essendovi stato trascritto l’Atto di Morte registrato presso l’Ospedale di Trieste.
Una annotazione ulteriore: sia nell’atto di morte che sul registro del Cimitero è riportata l’età – 22 anni – e non la data di nascita.
E una suggestione che lasciamo alla valutazione del lettore:sotto al nome, sul registro del S. Anna è scritto: “Ruccio”. Una storpiatura dovuta all’interpretazione del dialetto umbro da parte di un friulano del nome del paese natio? Una sorta di dichiarazione d’amore per la propria casa natale, magari raccolta in fin di vita da un Cappellano Militare? Ruscio e non , come ci saremmo aspettati, Monteleone, il comune di nascita.
Riteniamo molto probabile che tale Carrozai Giovanni, di anni 22, del 141 Reggimento Fanteria, deceduto a Trieste, presso l’Ospedale Militare il 25 marzo 1919, sia il nostro Giovanni.
In seguito, il Cimitero Militare di S. Anna, nel 1927 venne eliminato: le salme dei soldati trasferite nel cimitero di Villesse Zaule, in provincia di Gorizia. Il nostro Giovanni fu tumulato nella tomba 903.
Le nostre ricerche, da qui in poi, segnarono una battuta di arresto, finchè scoprimmo che successivamente anche il cimitero di Villesse fu rimosso, trasferendone le sepolture nel vicino Sacrario Militare di Redipuglia, la cui costruzione iniziò nel 1935, per dare degna sepoltura alle spoglie di 40.000 caduti noti, i cui nomi figurano incisi in singole lapidi di marmo.
Qui un’altra scoperta: nessun Carrozai risultava lì sepolto, bensì Giovanni CARROZZAI, soldato del 141 Reggimento fanteria, deceduto il 25 febbraio e non marzo 1919. Sembrerebbero due persone differenti: la data di nascita è diversa. In realtà il Carrozzai proviene dall’esumazione della tomba 903 di Villesse Zaule.
Da questa ultima informazione abbiamo la certezza che il Carrozzai di Redipuglia sia lo stesso Carrozai di Trieste.
Inoltre, nessun Carrozai o Carrozzai risulta essere iscritto nell’Albo dei Caduti della Grande Guerra.
Di concerto con i familiari, l’Associazione Pro Ruscio sta curando l’istanza di verifica del nome del Caduto presso il Ministero della Difesa, Direzione Onorcaduti, affinché, qualora confermata la nostra supposizione, venga modificato il cognome sulla lapide.
Seguiranno ulteriori aggiornamenti.
[aggiornamento del 22/06/2019]
Con nota del 28/8/2018 il COMMISSARIATO GENERALE PER LE ONORANZE AI CADUTI richiedeva alla Direzione del Sacrario Militare di Redipuglia di procedere alla correzione nel nome riportato sulla lapide posta sul loculo 7573 4° gradone CARROZZAI in CARASSAI.
Successiva comunicazione del 14/06/2019 lo stesso Commissariato testualmente scriveva: “spiace comunicare che, per vincoli Storico – Architettonici insistenti sul Sacrario Militare in parola, non sarà possibile procedere alla correzione della pietra tombale, ma si modificheranno i dati solo sui registri cimiteriali e nel “Data Base” in uso a questo Commissariato Generale.”
Certo, non potremo leggere il nome “Carassai” sulla lapide del nostro concittadino ( a dire la verita’ per una motivazione burocratica poco comprensibile) ma siamo lieti e orgogliosi di aver restituito al nostro Giovanni la dignita’ di una tomba riconosciuta.
Raffaele Cicchetti
[aggiornamento del 9/6/2018]
L’ordine di operazione n° 3470 emanato dal XXV CdA comunicò alla 4^ divisione che l’attacco dei Bersaglieri a Castagnevizza sarebbe dovuto scattare all’alba del 19 agosto 1917, ore 5.33. Cinque barili e trentatrè bottiglie, nel linguaggio convenzionale.
L’Ufficiale del Genio Paolo Caccia Dominioni, noto soprattutto per la sua successiva partecipazione alla battaglia di El Alamein, fu testimone del valore dei Bersaglieri non solo in quella triste e nota circostanza, ma già sin dai primi mesi del conflitto, durante il quale accadde spesso che … la fortuna non potè essere pari al valore di quel Corpo speciale che, creato per una guerra di movimento, si ritrovò a dover agire nella nota guerra di posizione, fatta di attese interminabili fra i bombardamenti sulle linee e di assalti mal organizzati, affidati quasi sempre davvero solo alla fortuna e al valore delle truppe.
Nell’agosto del 1917 anche l’allora Tenente Dominioni si trovò, con la 2^ Compagnia Lanciafiamme, in quel settore che fu forse il luogo più terribile e temibile di tutto il fronte italiano; ecco come lo descrive Dominioni nel suo diario: “Castagnevizza è nome che farebbe vacillare i più tremendi e pettoruti e celebrati guerrieri dell’antichità. Nome di leggenda. Decine e decine di assalti, in nove mesi, sono state lanciate su per il pendio mortale. Qualche ondata è arrivata, decimatissima, alla cima, sorpassando trincee e difese: ed è scomparsa sul rovescio senza restituire nessuno e le ondate successive si sono trovate davanti le trincee, che credevano conquistate, già guarnite di nuovi austriaci, sorti come fantasmi da invisibili ripari.”
E piu’ oltre: “I Bersaglieri si sono buttati fuori con molto slancio […] Nella dolina Lecce Bassa si è formato un pandemonio terribile: torme di feriti cenciosi affluiscono da tutte le parti: il posto di medicazione rigurgita di barelle e gente insanguinata. Lo sbarramento picchia sodo sulla prima linea e la dolina è già piena di morti […] . Trovo un Capitano dei bersaglieri … urla ordini a destra e a sinistra… “Cerchi la 5^ compagnia, che è già in paese” grida, e mi stringe la mano, ritto fra due cadaveri […] Continua la confusione e lo sbarramento a base di 305 e 420. Chi ha mai visto roba simile? Uomini che ti muoiono attorno come formiche calpestate”.
Davanti al paese di Castagnevizza, sul Carso, vennero decimate le migliori brigate dell’esercito italiano nel tentativo di espugnare quella roccaforte austriaca.
http://www.0766news.it/il-battaglione-del-capitano-piroli/
Caccia Dominioni, P. 1915-1919.Diario di guerra, Ugo Mursia Editore
Pietro Lotti
Mattonella del Ricordo, posizionata in Piazza Nazionale sulla facciata della abitazione del Caduto Pietro Lotti, nell’anno del Centenario della Grande Guerra dalla Associazione Pro Ruscio, anno 2015
Giuseppe Perelli
aggiornamento del 15/02/2018]
Il Sergente Giuseppe Perelli fu probabilmente sepolto in un cimitero di guerra nei pressi dell’Ospedale, e successivamente trasferito nel Cimitero del Tempio Ossario di Udine, la cui costruzione inizio nel 1920.
[aggiornamento del 17/02/2018]
L’ospedale di guerra N. 204, presso il quale fu ricoverato il nostro Giuseppe, faceva parte del Secondo gruppo ospedaliero della III Armata e dipendeva dal Direttore Generale, nonché Preside dell’Università Castrense di San Giorgio di Nogaro, Giuseppe Tusini. L’edificio, ora condominio a tre piani, è tutt’ora visibile e si trova nel comune di Torviscosa, una frazione che si è staccata da San Giorgio nel 1938 con la costruzione della fabbrica SNIA VISCOSA.
L’Universita’ Castrense (da castrum = accampamento militare) fu istituita nel 1915 al fine di formare quanti piu’ medici possibili per le necessita’ della guerra e per la cura degli ammalati.
In San Giorgio di Nogaro, dunque, con l’appoggio di Casa Savoia e del Comando Supremo, il 13 febbraio 1916 furono inaugurati i Corsi accellerati di medicina e chirurgia. La Facolta’ Castrense, nata per la volonta’ e intuizione di un ufficiale medico, gia’ docente universitario, Giuseppe Tursini, fu frequentata da 1.187 studenti di medicina, richiamati sotto le armi, per il proseguimento degli studi universitari e 467 furono gli allievi che conseguirono la laurea.
Il nostro Giuseppe, fu ricoverato e morì presso l’ospedale 204, il cui edificio tuttora esiste, trasformato in condominio di civile abitazione.
La documentazione e relative immagini del presente aggiornamento sono state gentilmente fornite dalla Dr.ssa Daniela Baldo, ricercatrice storica della Sanità militare nella Grande Guerra, ed in particolare della storia dell’Università Castrense e coautrice, insieme a Euro Ponte del libro, edito da CLEUP DP, nel 2017, “Gli eroi dell’Universita’ Castrense – Gli aspiranti medici caduti della Grande Guerra”, oltre che curatrice del sito http://www.eroiuniversitacastrense.info, che Vi invitiamo a consultare per ulteriori informazioni.]
Raffaele Perelli
aggiornamento del 19/02/2018.
Gli ospedali militari di tappa, impiantati a cura delle direzioni delle tappe, d’accordo con quelle di sanità d’armata, rappresentavano strutture “di passaggio” per i feriti che necessitavano una lunga degenza. Il trasferimento dei feriti presso questi ospedali, di norma, avveniva con autocarri o con i treni ospedali poiché si trovavano distanti dal fronte lungo la cd. “linea di tappa o di sgombero”, ovvero lungo la direttrice logistica per i servizi alla fronte, di solito in centri di una certa importanza, soprattutto per le infrastrutture dei trasporti e delle comunicazioni.
Nel 1917, si contavano 27 ospedali di tappa. (da http://www.sanitagrandeguerra.it)]
Raffaele fu tumulato in un cimitero di fortuna e, successivamente nel Sacrario del Cimitero Comunale di Salò.
Lì riposa, ancora.