Una passeggiata sul Corno

By proruscio

Il tremendo disastro che si è abbattuto sulle regioni del Nord Italia, in larghissima parte dovuto all’insensata opera dell’uomo ci fa, eccome, riflettere.

Abbiamo costruito senza rispettare le norme di sicurezza, costruito centinaia di sbarramenti al regolare flusso dei fiumi, dei torrenti, alzato dighe per strappare ettari di terreno alle acque; abbiamo sostituito gli argini naturali dei corsi d’acqua con sponde in cemento armato, disboscato selvaggiamente i pendii delle montagne. E ora, tutto questo, a chi ha giovato?

Lo scorso inverno abbiamo ahimè scoperto il progetto della costruzione di un muro di contenimento delle acque del fiume Corno all’altezza del ponte delle ferriere. La Barrozza ne ha fatto ampio resoconto nei numeri scorsi.

Il progetto come da alcuni auspicato, è stato modificato. La diga verrà spostata all’altezza degli Scogli Marinari, a monte della Chiesa di S. Maria, un muro di sbarramento alto circa 15 metri, con una apertura di 4 metri per 3 sul fossato per il deflusso delle acque. La diga permetterà il passaggio di un determinato numero di metri cubi di acqua al secondo, riducendo la portata della piena. I Periti assicurano che l’eventualità di dover subire una piena di proporzioni tali da giustificare un’opera simile si presenterà ogni cento anni.
Per la costruzione della diga in cemento armato, come materiale inerte, verrebbe utilizzata la ghiaia e i ciottoli del fiume, macinati sul posto da un piccolo stabilimento, che potrebbe rimanere in funzione anche dopo la costruzione della diga stessa. Inoltre il progetto prevede l’allargamento della sezione del fiume Vorga, pressappoco dalla Fonte dell’Asola fino al Campetto, a scapito della vegetazione naturale sita sulla sponda destra. Non sono certamente un esperto di opere idrogeologiche, ma sentire in questi giorni le spiegazioni delle cause delle alluvioni del Nord Italia, mi fa pensare.

Certo, al di là della reale necessità ambientale di tale opera, non bisogna sottovalutare l’impatto economico sulla situazione occupazionale di Monteleone. Forse che i lavori verrebbero appaltati a imprese edilizie del luogo, nella quasi totalità a conduzione familiare e non certo qualificate per tali opere? Forse, qualche piccolo lavoro di contorno o di sub appalto o legato all’indotto (ristorazione degli operai, manovalanza…).

E questo mi fa pensare.

Ma la diga e le opere annesse rappresenterebbero davvero un’opportunità duratura allo sviluppo del Comune di Monteleone, o soltanto una possibilità di sopravvivenza momentanea, fino alla fine dei lavori di costruzione?
Come un programmato terremoto?
E non dovremo mai pentircene?

I vecchi contadini, non d’età, ma d’esperienza, che con i due nostri fiumi hanno convissuto affermano che non c’è bisogno di ciclopici interventi. Basterebbe ripulire i due fiumi da troppi anni abbandonati. Rimuovere gli ingombri col tempo creatisi lungo il corso delle acque: tronchi, ghiaia, immondizie di ogni genere. Restituire al fiume gli spazi che gli sono stati sottratti per ingrandire i propri campi. Ripiantare lungo le sponde la vegetazione spontanea, che trattenga le acque nell’alveo del fiume e ne smorzi la velocità.

Un invito: fate una passeggiata lungo il Corno verso Leonessa, percorrete il Vorga fino alle “Cascatelle”. Lì troverete che le dighe di contenimento delle acque sono piene di detriti, sabbia, terra: da anni non hanno manutenzione; il letto del fiume, infrangendo ogni legge e disposizione in materia, è stato riempito di terra da riporto, rendendo la sezione più piccola e le acque di passaggio più veloci, vorticose e pericolose. Si scarica ogni genere di immondizie e detriti nei fossi, anche dentro il paese, anche sotto il cartello che ne sancisce il divieto, sicuri della mancanza di controlli.

In fondo, per rendere più sicuro Ruscio e la Valle del Corno non basterebbe fare come per decine di anni si è fatto finora?
Ma forse la soluzione moderna consiste nel cementificare le sponde o nell’allargare e addrizzare il letto dei fiumi, modellato nel corso del tempo; nell’abbattere la vegetazione delle sponde…ma non ne sono certo, come non mi rassicurano le statistiche dei Periti. Chiediamolo alle popolazioni padane, del Polesine, del Vajont, della Valtellina!

Non snaturiamo il nostro fiume, non rubiamogli spazio: assecondiamolo, curiamolo, ricostruiamo le sponde che abbiamo estirpato, draghiamo dove ce n’è bisogno. Non sperperiamo il denaro pubblico in opere di dubbia utilità economica e ambientale, investiamolo in opere di manutenzione e cura, avendo oltretutto l’opportunità di creare dei posti di lavoro stabili per personale locale da adibire a tali opere di manutenzione.

Pensiamoci bene.