Quando una bistecca diventa poesia

By proruscio

Sono seduta a tavola. Nel mio piatto, tra foglie di lattuga di un tenero verde, occhieggia un filetto di sogliola al vapore. Affondo la forchetta nelle carni morbide e tenere e porto un boccone alla bocca. Le mie papille gustative selezionano i sapori, l’olfatto gli odori….il mio stomaco geme.

Inutilmente cerco di convincermi che in tempo di mucca pazza, di maiale affetto da afta, di polli in batteria agli estrogeni, di verdure e legumi transgenici, il pesce atlantico (e sottolineo atlantico) è il cibo più genuino: nella mia mente, nella mia memoria riaffiorano immagini di osso buchi alla milanese con il loro midollo morbido e sapido (ero a Milano negli anni ’70), di coratella ai carciofi, di trippa al sugo con pecorino in cui immergere fette di pane piene di mollica per meglio assorbire i sapori (Roma anni ’60), di bistecche con l’osso, di arrosti morbidi e succosi, di maccheroni con la pajata .. ‘" ed ecco mi sembra ancora di rivedere la piccola macelleria di Peppe Bernabei che vendeva carni bovine ed ovine a Ruscio dopo averle abbattute personalmente usando come arma un coltello largo ed affilato!

Eppure, mai una volta, incontrando Peppe mi sono venute in mente immagini di morte. Era un omino magro, con gli occhi miti, un sorriso arguto sulle labbra da cui pendeva sempre una sigaretta; cappellaccio in testa sulle ventitré, battuta sempre pronta e scanzonata, piedi "indipendenti", che gli imponevano una andatura strascicata, mani agili e sottili con cui sgozzava le bestie con una tale rapidità ed abilità che non dava loro neppure la possibilità di reagire (io l’ho visto, nascosta, ma determinata a constatare che fine facevano le povere vittime). E poi sezionava, tagliava la carne e la esponeva sul suo altissimo bancone.

La scelta dei "pezzi" era limitata perché Peppe uccideva sol.0 poche bestie per volta e solo lo stretto necessario; niente andava sprecato, perché già tutti i tagli erano ordinati dai clienti. E risento ancora in bocca il sapore di quella carne che sapeva di erba di montagna, di pascolo libero e di ritmi naturali.

Poi Peppe è morto e siccome il suo unico figlio maschio, Napoleone, era ancora troppo piccolo, Lucia, la figlia maggiore lo sostituì, non solo come venditrice al dettaglio, ma anche nel mattatoio. Credo che nessun paese tranne Ruscio possa vantare una donna abile e forte come Lucia, femminista forse inconsapevole, ma certo capace e rassicurante con quegli occhi bruni e vivaci, la bocca aperta in un sorriso: vendeva carne di bestie uccise con le sue mani, ma riusciva a rendere tutto semplice e naturale.

Di suo padre e di lei ho un piacevole ricordo perché ho sempre mangiato la carne della loro macelleria senza provare nessun senso di colpa, ma soprattutto con la certezza di gustare un cibo genuino (oggi si direbbe biologico).

E certamente avrà pensato la stessa cosa quel cane nero che tanti, tanti anni fa, approfittando della confusione che sempre accompagnava una partenza, riuscì a rubarci un pacco di bistecche enormi e succulente, che mamma aveva comprato da Peppe, dopo lunghe ed estenuanti trattative per spuntare il prezzo migliore.

La poesia della vita è anche questo.