Dall’articolo di Giorgio Celli pubblicato su "II Messaggero" e titolato "il riccio" metafora dell’era moderna, abbiamo estratto alcuni interessanti brani su questo animaletto, che la Pro-Ruscio ha adottato riproducendolo sui capi di vestiario e bigiotteria con la sigla del nostro paese e che rappresenta la mascotte delle Rusciadi. Il riccio che vive nelle siepi o nel folto del sottobosco, è una creatura schiva quanto utile, perché divora non solo dei frutti ma soprattutto degli insetti e per l’ortolano finisce per essere un collaboratore molto attivo nella difesa delle sue culture. Al punto che nei paesi scandinavi i contadini mettono in giro delle ciotole di latte misto a vino per attirare i ricci e far si che i piccoli beoni tornino di frequente nell’improvvisata osteria, per libare e menare in seguito strage tra gli insetti dannosi.
II riccio viene a noi dall’epoche più remote del tempo in cui i dinosauri erbivori e carnivori erano i giganteschi signori del pianeta. Bestiola insignificante, il nostro eroe si nascondeva tra le felci e le araucarie e dai suoi rifugi ha potuto assistere, restando miracolosamente incolume, alla scomparsa dei dinosauri, sopravvivendo alla loro grandiosa estinzione.
il simbolo della Pro Ruscio
A poco a poco, il riccio, che prima aveva in dotazione una semplice pelliccia, ha trasformato i peli del suo dorso in aculei e ha inventato, per dir così, la strategia di difesa ben nota; appallottandosi sul posto, diventando un cuscinetto di aghi con la punta rivolta in fuori, mutandosi in fortino inespugnabile.
Ma ecco la prima lezione che ci impartisce! Una strategia di sopravvivenza non è buona per tutte le occasioni. Anzi, se mutano certe condizioni, può diventare una trappola mortale, spingendo la specie nel vicolo cieco dell’estinzione. Nel corso del tempo. quando una volpe gli appariva davanti, il riccio, allora come ora, si appallottava e il predatore, povero lui, se tentava di aggredirlo, gli aculei gli castigavano il naso e le labbra facendolo desistere, per lo meno nella maggioranza dei casi.
Ma ecco comparire un altro nemico, l’uomo che con la sua tecnologia ha creato un’arma letale per il riccio: l’automobile.
Un riccio maschio attraversa la strada in cerca della femmina, ed ecco che due rotondi occhi luminosi puntano su di lui.
La selezione naturale ha insegnato al piccolo pedone che se c’è un pericolo non bisogna darsela a gambe levate, ma appallottandosi sul posto.
Stratagemma buono per una volpe, ma per un tir? Pietrificandosi al centro dell’asfalto è il comportamento peggiore in senso assoluto. Ragione per cui, durante la buona stagione, quando il riccio non entra in letargo, tutta la rete stradale d’Europa si trasforma in un grandioso cimitero, accelerando così l’estinzione di questo prezioso e simpatico animale.
Il riccio finirà, pertanto, per raggiungere i giganteschi dinosauri nel paradiso cimiteriale dei fossili?
Ma se è così, per lo meno, ci avrà lanciato, con il suo triste destino, un ammonimento. La tecnologia non marcerà fatalmente così in fretta anche per noi?
L’uomo, che ha da così poco, in termini geologici, s’intende, lasciata la grotta e dimesso la clava, è davvero pronto per grattacieli e i computer? Non resterà a un certo punto, pietrificato a sua volta di fronte a tutti i suoi totem tecnologici in progressi? Non succederà che la storia si riveli fatale per la nostra biologia?