Era il primo caratteristico avviso delle fornare di Ruscio, Rosa e Nunziatella, con il quale invitavano le massaie a ,prepararsi al rito della panificazione, quando ancora era notte fonda.
"Scalla l’acqua e ammassa". Scaldare l’acqua e amalgamare la stessa con la farina e il lievito, era il primo stadio della preparazione del pane.
‘Spiana!’ Era la seconda fase con la quale si dava forma ai filari, che venivano disposti su una apposita tavola, ricoperti con un lenzuolo, (sotto) e una coltre di lana (sopra) per farli meglio lievitare. Quindi, quasi all’alba, ad un ulteriore segnale. le donne uscivano contemporaneamente dalle case e con in testa le tavole si recavano con incedere sicuro ai forni di Rosa o di Nunziatella, che avevano già predisposto i forni a legna per la giusta temperatura.
L’attesa della cottura costituiva un pretesto per fare quattro chiacchiere al caldo, mentre fuori "li munelli" aspettavano che fossero cotte le pizze con gli sfrizzoli o il ciambellone.
Una fragranza di pane appena sfornato invadeva le strade vicino ai forni e continuava sulla strada del ritorno fin dentro le arche (le madie).
Dopo Rosa e Nunziatella, fu Pasquetta che continuò questo mestiere con gli stessi procedimenti rituali che aveva ereditato dalla madre, poi l’impiego di nuove tecniche e la panificazione ad elettricità su vasta scala posero fine anche a questa antica usanza e con essa "svanirono" la fragranza e il sapore del pane fatto in casa.
———
Nota di Valeria Reali (3/12/2008)
Mi permetto anche di aggiungere un chiarimento al n. estate ‘93 relativo all’articolo “Scalla e ammassa!” sul forno e le fornare di Ruscio.
Ricordo perfettamente il forno all’epoca di zia Pasquetta e al solo rileggere le righe di Osvaldo ho sentito in bocca il sapore del pane buono e appena sfornato e nelle narici il classico profumo che si spandeva per tutto il paese arrivando fin sul Colle dove passavo le vacanze estive a casa di nonna Rita la ‘ficara’.
Ci tengo comunque a precisare che si occupò del forno anche mia mamma, Giovannina, la figlia maggiore di nonno Baffone, che rimasta orfana di madre prestissimo (aveva solo 11 anni) fu cresciuta insieme ai suoi fratelli da nonna Rosa, mamma di Arcangelo, menzionata appunto nell’articolo di Osvaldo quale fornara di Ruscio insieme a Nunziatella.
Ci raccontava spesso della sua attività e lavoro al forno, lavoro che svolgeva istruita e diretta da sua nonna, Rosa appunto, anche perché lo riteneva un modo come un altro per sollevare la nonna dal pesante incarico di crescere cinque nipoti tutti piccoli e in un periodo tra l’altro per niente facile considerando il periodo storico (nonna Rita, la mamma di mamma, morì giovanissima nel ’41).
Ci tenevo a questa precisazione non per semplice polemica, ma solo perché mi sembra un tributo dovuto a mia madre, donna schiva e discreta al punto da rimanere nell’ombra. Come è sempre vissuta, se n’è andata nell’ottobre del 2000 in punta di piedi, travolta e consumata dal suo male, lasciando a noi figlie “l’unico dolore di averci tolto lei e le sue parole”.