Ancora un mistero sulla Biga di Colle del Capitano

By proruscio

La storia della scoperta della biga è avvincente, perchè è ancora un capitolo aperto e anche perchè è avvolta dal mistero che circonda la scoperta della tomba etrusca, come sembra sostenere Stefano Vannozzi al quale cediamo volentieri la penna riportando integralmente quanto ci ha scritto.

Da quando ero bambino ho avuto passione per la storia e l’archeologia che ho sempre coltivato e cercato di far diventare un lavoro (…). Vengo al dunque…. mio nonno Nazzareno mi raccontava sempre di una "biga d’oro" trovata dal nonno e questo racconto prese sempre piu’ coscienza e forma anche fra i miei parenti quando in occasione dell’anno degli Etruschi, la stampa locale e nazionale diede molto risalto  alla Biga di Monteleone ed alla scoperta fatta da Isidoro Vannozzi.Scrissi al Metropolitan che mi mandò un plico con una bella foto in bianco e nero del carro ed al Sindaco dell’epoca , se non erro Spoletini, che mi invitò a visitare il paese dei miei antenati.

manifestazione a roma

Un momento della manifestazione "pro biga" tenutasi a Roma, davanti al Ministero dei Beni Culturali il 20 aprile 2007

Poco tempo dopo approfittando dell’offerta fattami da  un caro amico e dal fratello che avevano dimestichezza con i luoghi (avendo uno la casa appena acquistata in una frazione di Leonessa) arrivai per la prima volta a Monteleone , di cui tanto avevo vagheggiato e sperato prima o poi di vedere. Dopo un’ottima accoglienza del Sindaco che ci offrì un bellissimo giro per le vie e chiese del paese, nonchè un ottimo pranzo in una trattoria ai piedi di Ruscio , proprietà di una vispa signora (anch’essa una Vannozzi) potei infine visitare il Colle del Capitano ed un anziano signore discendente di Isidoro Vannozzi.
Solo li’ parlando e non ritrovando allacci di parentela, capii che qualcosa non quadrava e che quindi il mio Isidoro, il mio trisnonno non era quello di Colle del Capitano, ma quell’"Isidoretto" padre fra gli altri di quel Pietro La Guardia allora ancora vivente in Rieti.
Negli anni tornai altre due volte, contattando anche il Sig. Olivieri che mi porto’ a vedere  la vecchia e "perduta" casa di famiglia , quella acquistata dall"americano" (così diceva). Lo scorso anno infine, trovandomi in un cantiere di restauro a Leonessa, sono tornato finalmente più volte in "religiosa" visita fra pietre e storia a ricercare e riannodare alcuni fili del passato, incontrandomi anche con l’unico parente piu’ diretto ancora in vita, Ippolito Di Biagio (un cugino carnale di mio nonno).
Che dire poi, andando di corsa al cimitero su indicazione del vecchio zio a scoprire la tomba del trisnonno,che pensavo perduta, e dei mille pensieri che mi passavano nella mente piangendo davanti la foto… un trisnipote che torna a trovarlo dopo ben 67 anni!  Nel paese ho acquistato con le poche finanze, tutto quello che potevo sulla storia locale nel bar del Corso; ma ho intenzione di tornare quanto prima con calma per appurare altre cose di famiglia.
Unico neo che mi resta da portare alla luce sulla scoperta del carro e che indubbiamente non inficia in alcun modo la storia e le vicende ad esso connesse, ma semmai rientra nella storia piccola , direi minuscola (ma importante nell’ambito familiare) di ridare un volto, piu’ che un nome, che casualità della sorte è il medesimo, al vero scopritore del carro…. a chi vide (e sembrano essere stati in due, "Isidoretto" e Filippo Di Biagio) per primo la tomba con le sue vestigia! Per questo ho casualmente scoperto e purtroppo in forte ritardo, il lavoro d’indagine svolto dal giornalista Mario La Ferla il quale , pur avendo pubblicato tutta la sua ricerca nel libro "La Biga rapita" uscito a febbraio del corrente anno, incuriosito, ne ha voluto altresì farne menzione  nel suo sito, nella rubrica delle novità, visitabile all’indirizzo
www.mariolaferla.it

Per conoscenza riportiamo di seguito quanto scritto sul sito citato:
“ La storia della scoperta della biga di Monteleone si arricchisce di un altro particolare del tutto inedito. Il libro "La biga rapita" (Stampa Alternativa), ricostruendo le fasi del ritrovamento casuale della tomba etrusca a Colle del Capitano, dove era conservata la biga del VI secolo a.C., offre la versione dell’autore dopo aver esaminato i documenti e le testimonianze dell’epoca. E’ stato Isidoro Vannozzi, contadino del posto, a trovare la tomba, mentre scavava un cumulo di terra alla ricerca di pietre per la casa che stava costruendo, insieme con i figli Sante e Giuseppe. Era l’otto febbraio 1902. Questa versione è stata confermata da Giuseppe, figlio di Isidoro, 57 anni dopo il fatto. Il 6 settembre 1959, don Angelo Corona, antico parroco di Monteleone e attento studioso della storia della biga, e il suo amico Sandro Jachetti, lo intervistarono davanti a un vecchio registratore a nastro. E Giuseppe raccontò i fatti confermando la versione "ufficiale", come poi è stata raccontata anche nella "Biga rapita".
Questa versione viene adesso contestata da un erede della numerosissima dinastia dei Vannozzi. Si chiama Stefano Vannozzi, vive a Roma e fa il reastauratore. Ci ha scritto per raccontarci una versione "di famiglia", come dice lui stesso, sulla famosa scoperta della biga.
Rispetto alla versione "ufficiale" restano invariati i particolari del sito, Colle del Capitano; della data, otto febbraio 1902; del nome dello scopritore, Isidoro Vannozzi. "Però attenzione", avverte Stefano Vannozzi, "perchè secondo la versione della mia famiglia lo scopritore si chiamava Isidoro, ma non era quell’Isidoro che risultava proprietario del fondo a Colle del Capitano sul quale stava costruendo la sua casa". Insomma, secondo la nuova interpretazione, esistevano due Isidoro: uno era quello che con i figli Sante e Giuseppe costruiva la casa colonica, un altro era un lavorante che quell’otto febbraio 1902 stava scavando la terra alla ricerca di pietre per conto dell’Isidoro che abitava a Colle del Capitano.
Allora, se abbiamo capito bene, c’era un Isidoro, che per esemplificare chiameremo "il padrone" e c’era un altro Isidoro che potremmo indicare come "il lavorante". Insieme al "lavorante" era stato chiamato a lavorare dal "padrone" un altro contadino, tale Filippo Di Biagio, che diventerà poi il consuocero del "lavorante". Come avvenne la scoperta? Stefano Vannozzi spiega che furono i due lavoranti a scoprire la tomba e che quando "il padrone" se ne accorse, li allontanò bruscamente, perchè non fossero testimoni di quello che la tomba poteva contenere.

E’ una storia nuova di zecca e per certi versi sorprendente, soprattutto per la coincidenza davvero curiosa dell’esistenza di due Isidoro Vannozzi e della loro presenza a Colle del Capitano in quell’otto febbraio 1902. "Sta di fatto", testimonia Stefano Vannozzi, "che mio nonno mi raccontava, quand’ero bambino, che fu Isidoro il lavorante a scoprire la tomba. E questo Isidoro era per la precisione il nonno di mio nonno. Infine, il bisnonno Giuseppe, figlio di Isidoro, dopo essere emigrato a Trenton, New Jersey, Usa, poco prima del 1917 andò a vivere a Roma, dove la famiglia si è poi radicata". Secondo Stefano Vannozzi c’è un testimone che può confermare questa versione: si chiama Ippolito Di Biagio ed è un erede di quel Filippo Di Biagio, che lavorava a Colle del Capitano e che divenne il consuocero di Isidoro il lavorante.” 

In una seconda e-mail Stefano Vannozzi ci precisa:
 “Aggiungo alla precedente e-mail la seguente nota integrativa ovvero che non intendo "contestare" la versione ufficiale della scoperta della Biga come scritto con un po’ di enfasi dal giornalista La Ferla, ma solo riportare un piccolo fatto precedente alla scoperta ufficiale che non è stato mai riportato nelle fonti ufficiali! Ovvero che sia da parte del ramo paesano dei Vannozzi che dei Di Biagio, per via di tradizione orale, si è sempre raccontato che i due predetti Isidoro e Filippo (quest’ultimo già lavorante come mastro fabbricatore nella masseria di Colle del Capitano), si erano attardati nei lavori sull’aia all’imbrunire di quella sera quando si resero conto della presenza di un vuoto sottostante la stessa. Il proprietario lì allontano con la scusa che si era fatto tardi (sembra che abbia detto pressappoco "lasciate perde che ormai è notte") congedandoli. La tomba fu scavata nottetempo e l’indomani quando il tutto era cosa fatta, ma ancora non si era sparsa la notizia, questo Isidoro risolse il problema lasciato dalla buca della tomba ancora fresca e mezza ricoperta dicendo che il terreno era franato ("cià franato").
 Questa è l’unica menzione  che tenevo fosse riportata all’interno del libro ormai pubblicato”.