"Appiccia, Mastro Ce".
Era l’espressione tipicamente dialettale riferita alla figura di Cencio Arrigoni, incallito fumatore di sigari e sigarette, discendente da una categoria di calzolai che, iniziata con Giovanni l’Eremita (nonno Barba, che, forse più per necessità che per vocazione, prestava la sua opera artigianale anche in trasferta al seguito dei pecorari in Maremma) e continuando con il figlio Paolo, arriva ai nostri giorni, appunto, con Mastro Cencio.
Chi è che non è ricorso alla sua opera per una toppa, una risolatura o, per i più agiati, un paio di scarponi chiodati buoni per tutte le stagioni? La misura, abbondante per fare spazio ai calzettoni di lana.
Quelli di una certa età lo possono ancora immaginare nelle sua botteguccia, illuminata (si fa per dire) da una lampada ad acetilene o elettrica da 5W, tutto intento a martellare sui tacchi o a tirare, con movimenti uniformi, lo spago intriso di pece, mentre un sigaro o una sigaretta emanava l’ultimo filo di fumo ai bordi del banchetto di lavoro.
Altra figura tipica e misteriosa (poco si sa della sua provenienza, se non quella di emigrato dall’America), è stata quella di Attilio detto Disastro, che della necessità fece virtù, adattandosi a fare il riparatore di scarpe in una cantinola alla Tazzaretta; di lui erano celebri le frasi: "A rega, che te magneresti de più, un piatto de pinghitti co’ Ie lucertole o uno de ciciarelli co’ le lumache vive!"
Ultimo rappresentante della categoria, è stato in ordine di tempo (ma non mastro) Arcangelo, detto Baffone, della scuola di Mastro Cencio, la cui caratteristica figura è stata immortalata nel filmino realizzato recentemente dal sottoscritto.