Come si sposavano

By proruscio

La “scelta” era stata fatta. Chi per amore, alcuni per convenienza o per buon partito, avevano deciso che i tempi erano ormai maturi.

I lavori nei campi erano terminati, mentre per chi lavorava a Roma si avvicinava l’inverno ed il bisogno di una costola, anzi di una spalla si faceva impellente.

Gli approcci amorosi e furtivi erano terminati e le famiglie avevano dato il loro consenso, per cui pronte erano le “Carte”.

La prima tappa era il giuramento che avveniva a Monteleone nella parrocchia di San Nicola alla presenza di Don Raffaele (detto Padre Bava) e dei testimoni che, insieme ai promessi sposi, Capo di Ferro trasportava con la sua mitica Lancia.
Il parroco chiedeva agli sposi se conoscessero la dottrina, in caso contrario, sbatteva loro in mano il libretto del catechismo (nella maggior parte dei casi in quella dello sposo), ordinando con uno sguardo severo: “ impara il catechismo e il Padre Nostro altrimenti niente sposalizio”!!”.

Dopo il giuramento i promessi sposi e gli accompagnatori si gustavano al bar Iachetti un marsalino con le relative “ciambelle” portate da casa.
La data era stata fissata ed era il momento di provvedere alla preparazione dei vestiti da cerimonia. Alcuni più benestanti, si facevano acquistare dei parenti residenti a Roma la stoffa che a sua volta veniva consegnata alla sartoria delle sorelle Forconi di Monteleone che realizzavano il vestito sulla foggia di un modello ormai classico.

E venne il giorno delle nozze.

Durante la notte della vigilia delle nozze, urlando per schernire gli ex fidanzati della sposa, si faceva “l’incamata” (vedi n.3, anno 5^ “NATALE ‘97” della Barrozza) che consisteva nello spargere la “cama” dalla casa della sposa fino a quella del suo ex-spasimante.

Gli sposi, i parenti egli amici salivano con ogni mezzo verso Monteleone per la cerimonia di nozze e dopo la celebrazione si ridiscendeva a Ruscio al suono di organetti, tra gridie e lazzi di gioia.
Il pranzo si consumava, per lo più, in famiglia in una sala adeguata e la durata e le portate formavano un menù lungo e pesante. Il menù era questo: stracciatella con brodo di gallina, fettuccine al sugo di pecora, “pollozzette” (polpette), pollo, abbacchio e zuppa inglese con lanci di confetti a bersaglio, mentre Santino Pasquali ed altri poeti estemporanei improvvisavano ottave in onore degli sposi.

Quindi la sposa si recava a rendere visita alla suocera che la benediceva e le augurava la pace in famiglia. Gli sposi, infine, quelli con residenza a Ruscio si avviavano con il  corteo dei parenti ed amici verso la fonte dell’Asola per una merenda ed a sera entravano nella loro casa per la prima notte, soggetti ancora a “crudeli” apparizioni alla finestra per ringraziare gli amici che ancora indugiavano con le loro serenate. Per otto giorni la sposa non usciva di casa fino a fare la prima apparizione alla domenica successiva in occasione della Messa. Coloro che invece dovevano recarsi a Roma, a stento, cecavano di trovare posto nell’auto-taxi di Angelino Pierleonardi o nelle vetture private.