La lettera aperta di Pierpaolo nell’ultimo numero de “La Barrozza” mi ha spinto a scrivere quattro righe.
Sono partita dal Trivio che ero poco più che una bambina, ricordo ancora il magone che mi prendeva nell’avvicinarmi a Roma; anche se si trattava di stare lontano solo pochi mesi l’anno, durante il periodo invernale.
Mi sono sposata e sono andata a vivere definitivamente a Roma.
Quanta nostalgia del mio paesello; soprattutto in primavera mi mancavano gli odori della stagione, lo sbocciare dei fiori, il cinguettio degli uccelli e le rondini che si costruivano il nido; ma più di tutto mi mancava la mia gente.
Con la mia famiglia non vedevamo l’ora di poter tornare al paese, anche per la sola domenica.
Negli ultimi anni i nostri viaggi erano quindicinali, che pace, che silenzio; riacquistavo l’energia necessaria per affrontare lo stress del mio vivere quotidiano, tanto che gli amici nel vedermi partire mi dicevano: “vai a ricaricare le batterie?”
Per chi è lontano, il paese resta un’oasi felice, un luogo quasi fiabesco, ma la realtà è molto diversa.
Nel 2002, visto che mio marito era andato in pensione, con grande entusiasmo, facemmo la scelta di tornare a vivere al Trivio. Quello che ci legava alla terra d’origine erano i valori che, nella loro semplicità, ci hanno trasmesso le persone care che l’hanno abitata; tornando pensavo di ritrovare tutto questo; purtroppo non è stato così.
Vivendo qui ho scoperto che il paese è cambiato: anche se qualcosa è rimasto, di quanto ricordavo, soprattutto nelle persone avanti negli anni. Pensando che si trattasse soltanto di un po’ d’annebbiamento, d’assopimento, ho provato a risvegliare gli “umori”; ma mi sbagliavo: le cose sono veramente cambiate.
Sono passati molti anni, fortunatamente il paese si è evoluto; ma il progresso, come dappertutto ha portato con sé una certa dose di individualismo e di menefreghismo.
I nostri paesi sono cambiati; non sono più, come un tempo, il sorgere ed il tramontare del sole, o il buono ed il cattivo tempo, a scandire le attività che vi si svolgono. Non c’è più differenza tra: il vestire ed i modi di fare tra i nostri giovani e quelli di città; per la mia generazione le novità arrivavano l’estate con l’arrivo dei romani oriundi; adesso sono Internet e televisione ad influenzare gli stili di vita delle nuove generazioni.
Questo non è in assoluto negativo: però porta ad esularsi dalla realtà del paese. Vivendo qui, vedo e capisco molto bene, ciò che Federica denuncia nei suoi articoli.
Allora cosa fare affinché i nostri paesi non muoiano? Tornare all’antico? Cercare di tornare alle tradizioni? Sfruttare la nostra splendida natura?
Non ho certezze, ma qualcosa bisogna pur fare affinché la nostra stupenda e sana gioventù non abbandoni la nostra terra come avvenne negli anni sessanta. Una idea però ce l’avrei: non mettersi in competizione con realtà più grandi, ma recuperare la nostra semplicità; questo potrebbe essere vincente. (fare progetti che tengano conto delle risorse della nostra terra).
Per esempio facilitare le escursioni dei nostri monti: riaprendo sentieri ormai impraticabili a causa dei rovi che inevitabilmente vi sono cresciuti perché non battuti; ma anche a causa dei cani lasciati da soli a guardare i greggi, che a volte sono piuttosto aggressivi; senza considerare il fatto che da anni i pastori sostengono che ad ammazzare le pecore non sono lupi ma cani randagi.
L’impegno a migliorare la vita locale, sia sociale che lavorativa, deve e può partire da qui, non ci si deve aspettare e pretendere che gli aiuti arrivino da fuori.
Pierpaolo scrive: “Non avere paura” io dico: ”Abbi coraggio”; se qualcuno ha delle idee le proponga e chi può ed ha i mezzi per realizzarle si faccia avanti.