Ed ora parliamo di vecchi molini

By proruscio

Come ricorderanno gli amici che parteciparono con me al "safari fotografico" a caccia’ dei vecchi molini lungo il bacino del Corno (Vittorio, Pino, Gianni, Settimio, Fabrizio ed altri con Sandro, Angelo e Gino a farci da guide), nell’estate del 1987 era sorta l’intenzione, in occasione della costruzione della fontana di Ruscio di Sotto, di scrivere qualcosa sull’argomento, ma poi l’idea era rimasta li’. Ora che "La Banozza", ormai rodata, ha un po’ istituzionalizzato questo compito, Vittorio Ottaviani mi ha invitato a tirar fuori le foto e gli appunti e a scrivere qualche colonna nella mia nuova veste di cronista per hobby.

NOTIZIE STORICHE

Riporto alcune informazioni raccolte in gran parte parlando con i paesani: mi auguro che siano almeno esatte se non complete e servano a far rivivere uno scorcio di vita passata,ad interessare gli amanti delle tradizioni nostrane ed a suscitare il desiderio di una ricerca piu’ approfondita.
Le mole ad acqua di cui ho notizia, nel nostro Comune erano ben cinque: Santa Lucia, Siviero, Monteleone, Castelvecchio (Nempe) e le Mole (Trivio) , tutte situate sul Corno o sui fossi suoi affluenti come si puo’ vedere sulle mappe dell ‘IGM rilevate con fotografie aeree nel 1955.
La Guida Commerciale d’Italia nel 1907 riporta i seguenti nomi di esercenti di molini nel territorio comunale: Bernabei Cruciano , Bernabei Giovanni , Cannignani Antonio, Carmignani Giovanni e Olivieri Giuseppe.

1) Santa Lucia
Situata in un’ansa del Como, serviva Ruscio e dintorni fino al 1936 quando fu abbandonata in seguito all ‘alluvione del 16 settembre che lo ricopri’ di breccia e rena insieme ai prati circostanti.
Era gestita dai Bernabei e divenne di proprieta’ di Biagio e Mario Peroni che la adibirono a casale e stalla.
Tre delle originarie macine in pietra fanno ora bella mostra nella fonte di fronte alla chiesa dell’ Addolorata.
Nel 1987 in occasione dell’ inaugurazione della fonte il poeta Nicola Marchetti scrisse e recito’ la bella poesia che il figlio Omero ha ritrovato per pubblicarla:

Nel ventesimo anno la Pro Loco
fa’ dono a Ruscio di questa fontana
che porta l’acqua buona,fresca e sana
e civilmente l’imbellisce il loco.

Dispiace solo che quesr’ acqua pura
vada a finire nella fognatura.
Sarebbe piu’ logico e piu’ bello
se l’avanzo innaffiasse un orticello.

Ruscio ringrazia il primo cittadino
insieme alla giunta comunale,
la Pro Loco che avuto l’ideale
per questo lavoro utile e carino.

Or con l’acqua di Atina e delle Vene
ogni persona puo’ dissetarsi bene.
Se poi il detto non e’ una bugia
arrivera’ l’acqua di Santa Lucia.

A lsidoro Peroni che ha donato
le antiche ruote dell’ antica mola
da tutti un gra:ie gli l’iene inviato.
 
A Durastanti dico una parola:
"grazie" , per questa fonte rifinita
e auguri a tutti di una lunga vita.

Quanti sacchi di grano macinati
con queste ruote, e i sacchi di farina
nelle case di Ruscio riportati.

All’ epoca di nonna e la mammina
per fare tagliolini e ciciarelli
erano tempi poveri ma belli.

La mola non c’e’ piu’. Tutto e’ cambiato
perfino l’andamento famigliare
ilfosso addirittura s’e’ asciugato
le ruote non hanno piu’ forza per girare.

Per questo adesso sono state appese
ci sgorga l’acqua e piu’ bello e’ il paese.
 


2) Siviero
La mola di Siviero e’ restata in servizio anche durante la Seconda GuelTa Mondiale. Quando la siccita’ ed altri sconvolgimenti idrologici (quali,si diceva. gli scavi nella miniera di lignite) avevano fatto asciugare tutti i fossi della vallata di Ruscio. il Corno tornava a scorrere solo dopo il ponte delle Ferriere e forniva l’energia motrice dell ‘acqua, mentre quella elettrica era precaria dati gli eventi bellici: cosi’ la mola di Siviero assicurava la farina ai paesani.
L’edificio e’ ora stato restaurato da Antimo Carmignani che lo ha l’i acquistato, ma non c’e’ abbastanza acqua nel fiume.
I Gervasoni che lo gestivano, aprirono in seguito il molino a cilindri mosso dal vapore
la fonte con le macine di Santa Lucia
e poi dall ‘energia elettrica a Ruscio sulla strada Romana, vicino a dove ora e’ il negozio di alimentari di Pina, affianco alla vecchia osteria di Nena davanti alla quale fermava il Postale o meglio la Saura e questo lo ricordano tutti i miei coetanei!

3) Monteleone
La mola di Monteleone, situata vicino al Cimitero, resto’ anch ‘essa in sevizio fin dopo la guerra.
Ultimamente gestita dagli Olivieri, e’ l’unica abbastanza ben conservata nel territorio comunale, come si puo’ vedere nelle foto. L’acqua era convogliata sin dalle sorgenti delle Vene con una apposita canaiizzazione assai ingegnosa che traversava i fossi su ponti, alla maniera degli antichi acquedotti romani.

4) Castelvecchio
La mola di Castelvecchio, vicino a Nempe era alimentata dalla stessa acqua delle Vene che muoveva il molino di Monteleone per poi defiuire tramite il fosso di Ripa a Santa Lucia.
Ne restano ora solo poche tracce.

5) Trivio
Il molino detto le Mole del Trivio, ora demolito, era tenuto dalla famiglia Olivieri ed ha anch’esso continuato a lavorare fin dopo l’ultima guerra.
Era alimentato dal tOlTente Rio che poi scaricava fin davanti a Santa Maria e a Corno. Ricordo che le donne a Ruscio aspettavano l’apertura dell’accoda per andare a lavare i panni!
 
 

COME FUNZIONAVA UN MOLINO AD ACQUA

La tecnologia dei nostri molini era semplice ma efficiente.
L’acqua veniva raccolta in un vascone o serbatoio detto ACCODA.
Il getto dell’acqua che fuori usciva dal CANALE, dopo un salto di pochi metri colpiva le PALE di una ruota ad asse verticale che si alternavano sotto di esso, in modo simile alle ruote motrici ad azione tipo Pelton delle grandi centrali idroelettriche moderne.
La ruota era costituita da un grosso tronco di cerro, detto ARITRECINE, sul quale a raggera erano disposte le pale.
Queste venivano ricavate da un tronco di faggio di circa mezzo metro di diametro, per una lunghezza alquanto superiore,che veniva spaccato in quattro quarti e ognuno di essi, abilmente lavorato con l’ascia formava una pala a cucchiaio.

Gli artefici erano i fagocchi locali, gli stessi che costruivano le barrozze. Le pale di una ruota erano circa una quindicina, infisse nell’albero che ruotava, compiendo un centinaio di giri ogni minuto e poggiava, tramite la RAMOLA o cuscinetto, sul tronco di base anch’esso di robusto cerro. Sull’albero che traversava la macina inferiore ferma, era fissata tramite il MARTELLONE, la macina mobile che macinava il grano o le biade, trasformandole in farina, granello e crusca che defluivano verso la periferia nelle scanalature radiali sulle macine. La macina per il grano aveva un diametro di circa un metro e mezzo e pesava vari quintali, mentre quella per le biade era in genere piu’ piccola. Le ruote o macine erano di pietra di un solo pezzo ( a differenza delle ruote dette "francesi" fatte di pezzi cementati ), di granito o di calcare e provenivano da cave lontane, addirittura dal Nord Italia.

I sistemi di regolazione erano semplici ma ingegnosi e consistevano nel variare la portata dell’acqua con una paratoia, la quantita’ del grano che cadeva dalla tramoggia e infine la distanza fra le ruote alzando la macina mobile con la LEVA. Macinare un sacco di grano prendeva quasi due ore, se l’acqua era sufficiente, altrimenti la ruota si fermava!
 

FINE DEI MOLINI AD ACQUA

Nei tempi piu’ recenti, i molini ancora in funzione, mossi dall’energia dell’ acqua,hanno sostituito il ferro al legno nella ruota idraulica, tentando di sopravvivere alle nuove tecnologie, ma erano destinati a morire. Anche se recentemente la moda delle cose naturali ed integrali ha ridato vita a qualche superstite lenta ruota di pietra, ma comunque mossa da un motore ad energia elettrica, se si vuole salvare la memoria del passato, bisognerebbe restaurare o ricostruirne almeno uno funzionante alla vecchia maniera, quella cheper tanti secoli ci ha fornito la farina per il pane!

SAREBBE BELLO…

Mi piace proprio, come esempio da imitare, riportare alcuni brani tratti da un opuscolo illustrativo di un molino ad acqua restaurato a cura del National Trust nel Chesire, zona agricola dell ‘Inghilterra, che ho recentemente visitato. Il National Trust inglese, come l’Heritage in Wales gallese, sono associazioni a salvaguardia del patrimonio locale, che hanno ricevuto in donazione o acquistato diverse proprieta,’ quali aziende agricole di feudi nobiliari abbandonati, industrie manufattiere (ad esempio per la lavorazione del cotone), antichi castelli e monasteri, vecchi molini appunto, eccetera, li hanno perfettamente sistemati ed aperti al pubblico, li custodiscono con personale in gran parte volontario e gratuito. Tali tesori sono continuamente visitati a pagamento da turisti e scolaresche, vengono chiaramente spiegati e illustrati con pannelli, videocassette o dalla viva voce di esperti (ad esempio ci hanno mostrato dal vero tutto l’antico procedimento dal fiocco di cotone al filo e al tessuto).

L’Italia che non e’ da meno ricca di tradizioni e cimeli e specie le nostre parti potrebbero seguire i buoni esempi europei.
Ma forse noi italiani, perche’ troppo ricchi di tesori naturali artistici e storici di ogni epoca, sottovalutiamo e lasciamo cosi’ sparire le tracce della civilta’ dei nostri recenti progenitori.

Ad onor del vero negli ultimi tempi, qualcosa si sta muovendo dalle nostre parti, con allestimento di mostre della civilta’ contadina (Norcia, Ocre) e con associazioni quali Il Cardo con il progetto Origini a Leonessa.

Ed ecco il brano tradotto e riassunto, a testimonianza della serieta’ e dell’impegno:
 
"ll molino a Nether Aldrly (Chesire) viene citato per la prima volta in un documento del 1290, poi in una ricognizione di proprieta’ del 1591.
Il molino attuare e’ del XVI secolo e fu servito attraverso i tempi da una lunga serie ai mugnai.
Il mugnaio era, nei periodi di prosperita’, un uomo di larghi mezzi ed il suo stato sociale nel villaggio era pari a quello ai un ricco agricoltore.
Con le nuove leggi e piu’ tardi con l’avvento dei motori a combustione interna e dei nuovi economici mezzi di trasporto, il
mestiere declino’ ma il lavoro pur diminuito ando’ avanti fino al 1939. 
Presto dopo questa data il molino ando’ fuori uso e la diga fu chiusa con la creta. 
Li’ non ci fu’ piu’ ne’ vista ne’ rumore di acqua da alcuna parte e la gente si chiedeva come questo potesse esser stato un mofino da acqua! ….

L’edificio appena donato al National Trust  fu’ subito restaurato, ma il macchinario rimase inattivo finche’ il Trust, ritenendo che un molino ad acqua e’ molto piu’ attraente quando e’ in funzione, fece preparare un preventivo per riportare il mofino in condizione  di lavorare.
 
La ruota superiore fu ricostruita per prima e il macchinario sbloccato, riparato e verniciato, rinnovati i denti di legno agli ingranaggi che erano gonfiati e bloccati dall’umidita’.
 
Ma finche’ il mofino, pur riparato, restava senza la potenza dell’acqua, era destinato ad essere inoperoso. Il canale originale era sparito e la sua ricostruzione procuro’ il piu’ duro lavoro.
 
Quando alla fine l’acqua fu riaperta, il suo fusso e il suo scroscio, il brontofio dei denti delle ruote ed il leggero scuotimento dell’edificio, dopo 30 anni di silenzio, divennero ancora una volta una delizia dei sensi…"

Sarebbe bello riuscire a realizzare qualcosa di simile anche da noi ….. per ora accontentiamoci di leggere e guardare "La Barrozza" e ….. dissetarci alla fontana delle macine!