Nel 1845 comparve a Roma una nuova rivista, intitolata «L’Artigianello», il cui sottotitolo era “Letture morali religiose ed istruttive per le scuole notturne di religione e per le famiglie”. Il giornale, diretto da Ottavio Gigli (1) , cominciò le proprie pubblicazioni il 4 gennaio 1845; settimanale, usciva ogni sabato e il suo prezzo era di 5 baiocchi al mese. Era stampato dalla Tipografia dei Classici Sacri, sita in via Felice, n. 121.
Lo scopo della rivista è ben chiarito dalla dichiarazione di intenti dello stesso Gigli, nella “Prefazione” che surrogò il numero del 25 gennaio 1845, mai pubblicato:
“Non v’è forse persona che udendo ragionare di delitti che si commettono dalla bassa gente non deplori la loro ignoranza che n’è il principal fomite, e che non desideri che pur con essa si dividano que’ beni che a noi furono participati [sic], l’educazione l’istruzione. Se secondo la lor condizione sarà educata, noi forse non lamenteremo tante immoralità e offese sociali, né vedremo tante vite lasciate nelle galere, e su’ patiboli.
Fu santo pensiero quello di riunire nelle scuole notturne quegli artigianelli che formeranno una parte sì importante della società, ed ivi indirizzarli a quella religiosa e morale educazione che si conveniva allo stato che si erano scelti. Per aiutare adunque la loro istruzione religiosa con buoni e svariati esempi di morale si pensò da me di pubblicare queste Letture, e perché la povertà non avesse lor impedito di godere questo beneficio, alcuni generosi di cui ho voluto far conoscere i nomi, onde pubblica fosse la riconoscenza, invitati si obbligarono di fare le spese della stampa.” (2)
Insomma, si volevano educare le nuove generazioni, affinché crescessero munite di sani e solidi principii, che li proteggessero da idee e convincimenti pericolosi, oltre che per loro, anche per la società nella quale vivevano.
A scopi educativi ed edificanti, la rivista pubblicò anche articoli riguardanti atti di altruismo e coraggio, che sono estremamente interessanti perché permettono allo studioso di ricostruire la storia di piccoli centri abitati, quali Monteleone di Spoleto, consentendo di sottrarre all’oblio e allo scorrere incessante del tempo vicende secondarie, comunque significative, poiché restituiscono il clima che si respirava in tali realtà di provincia.
Nel numero del novembre 1845, il can. Felice Giannelli dedicò un intero articolo ad un gruppo di eroici bersaglieri pontifici, che si erano segnalati per il senso del dovere e lo sprezzo del pericolo.
Il protagonista principale della storia che raccontiamo è un vice-brigadiere dei bersaglieri pontifici, Giovanni Battista Carassai (probabilmente esponente della famiglia omonima, la cui presenza nella nostra zona è attestata già nel XIX secolo), che nel luglio 1845 si segnalò per coraggio e altruismo.
Il 27 luglio 1845 all’ora del tramonto, molte persone si affollarono in un punto del centro abitato di Monteleone, laddove sorgeva l’abitazione di Beniamino Candellori; l’edificio era ormai avvolto dalle fiamme, che cominciavano anche ad uscire dalle finestre. Il vice-brigadiere, saputo che nella casa si trovavano ancora tre persone, sollecitò i due commilitoni Antonio Orecchioni e Domenico Cavallari a prestargli aiuto e, senza esitare, si lanciò con essi tra le fiamme. Il pronto intervento dei militari permise il salvataggio di tre donne: la moglie di Bernardino, Chiara, la figlia Angela Maria e la nuora Maria; non contenti di ciò, i bersaglieri si prodigarono – riuscendovi – per circoscrivere e domare l’incendio, che minacciava di estendersi ad altri edifici, coperti di paglia.
Dopo due ore, le fiamme furono spente e la pace tornò a regnare nel piccolo borgo, mentre i borghigiani non smisero di lodare l’eroismo dei tre bersaglieri.
Suggello dei Bersaglieri Pontifici di Monteleone, prima metà del XIX secolo, Coll. Privata Stefano Vannozzi, Roma
Passarono poco più di due settimane e un nuovo incendio scoppiò a Monteleone; il segretario comunale, Giuseppe Bernabei, avvisò il vice-brigadiere Carassai, che anche in quest’occasione diede prova di non comune coraggio, spalleggiato in ciò dai bersaglieri Orecchioni e Cavallari, che anche in questo frangente lo aiutarono.
Ad essere preda delle fiamme fu stavolta la casa di Bernardino Bella, all’interno della quale si trovavano i tre figlioletti dell’uomo; il Carassai (padre di ben sei pargoli) entrò nell’abitazione e, salito nella stanza dove i piccoli si trovavano, li prese con sé, portandoli in salvo ed affidandoli al padre, attonito per l’insperata salvezza delle creature. Il vice-brigadiere, aiutato dai bersaglieri Orecchioni e Cavallari e da altri borghigiani, si adoperò per evitare che l’incendio potesse estendersi ad altri edifici. Con molta fatica e dopo quattro ore di duro lavoro, il rogo fu finalmente domato e spento.
Tutta la popolazione di Monteleone si strinse attorno agli eroici bersaglieri, dimostrando loro ammirazione e gratitudine; Beniamino Bella, da parte sua, espresse la propria riconoscenza nei confronti dei militari agli alti comandi dei bersaglieri pontifici (le sue affermazioni furono certificate come veritiere dal priore – termine con cui si indicava allora il sindaco – del comune di Monteleone, Pietro Cicchetti), tanto che le gesta dei bersaglieri furono premiate dal Comando Superiore dei Bersaglieri di Roma, che concesse al vice-brigadiere Carassai una medaglia di argento e un premio in danaro ai due bersaglieri comuni Orecchioni e Cavallari (disponendo anche che i loro meriti e premi fossero “messi all’ordine del giorno”, ovvero resi noti in tutto lo stato). (3)
Annotazioni
(1) Ottavio Gigli nacque il 13 aprile 1816 a Roma da Domenico, nobile di Anagni originario di Sezze, e Giuditta Troyse Barba. Dedicatosi agli studi letterari, frequentò assieme ad altri giovani romani il salotto del console statunitense G. W. Grene, nel quale si poteva parlare molto più liberamente che altrove. Gigli strinse rapporti con Troya, fondatore della Società Storica Napoletana. Poco più che ventenne cominciò a pubblicare delle opere, tra le quali si segnala la Biblioteca classica sacra o sia Raccolta di opere religiose edite ed inedite dal secolo XIV al XIX. Collaborò con diversi giornali, fondando «La Locomotiva» e «L’Artigianello», attento ai problemi dell’educazione popolare (a seguito dell’influsso del sacerdote Ferrante Aporti), che avrebbe avuto una notevole diffusione, grazie anche al prezzo particolarmente contenuto. Costituì anche la «Società Nazionale per le strade ferrate dello Stato Pontificio» e la «Società Tipografica Editrice Romana». Nel 1848 aprì un asilo popolare nel rione di Trastevere, amministrato dalla «Società degli asili d’infanzia». Sempre nel 1848 il primo ministro Pellegrino Rossi lo nominò direttore dell’Ufficio Centrale di Statistica; schieratosi a favore della Repubblica Romana, dopo la sua caduta fu arrestato. Rimasto a Roma fino al 1851, si trasferì quindi a Firenze, dove, abbandonata la politica, si dedicò nuovamente agli studi letterari e artistici e alla pubblicazione di opere erudite. Nel 1862 promosse l’«Associazione nazionale per la fondazione degli asili rurali per l’infanzia» e iniziò a pubblicare le «Letture serali del popolo». A Firenze si occupò della collezione d’arte ereditata dal padre; trascorse gli ultimi della vita alle prese con notevoli problemi di salute. Morì a Firenze l’8 giugno 1876. (M. CATTANEO, voce Ottavio Gigli, «Dizionario Biografico degli Italiani», Roma, Istituto dell’Enciclopedia Italiana, 2000, vol. LIV, pp. 688-690).
(2) OTTAVIO GIGLI, Prefazione, «L’Artigianello», I (1845), pagina non numerata.
(3) FELICE GIANNELLI, Esempi di virtù singolare, «L’Artigianello», I (1845), n. 45, 15 novembre 1845, pp. 363-365.