Era una tranquilla sera del 1944 o 45 (se non ricordo male), quando nemmeno il tintinnio del gregge o quello più forte e solenne delle mandrie era dato sentire,poiché sia l’uno che le altre erano nascoste nei boschi per non cadere preda delle truppe tedesche in ritirata.
Ad un tratto sulla strada romana il silenzio fu rotto da grida di guerra:
“Alto là -parola d’ordine – c’è il nemico, giù dal camion!”
Alcuni si rotolarono giù per le scarpateo dentro l’orto di Palanca sotto l’entrata di Ruscio di sopra, altri, rimasti più indietro, scesero dagli autocarri e si sparsero, armi in pugno, lungo la stradina che porta a Monteleone o sulle Cese.
Cominciò una violenta sparatoria tra un drappello di partigiani che scendeva dal Colle Ruscio agli ordini di "Guglielmetto" e due o tre gruppi di partigiani che, con alcune bielle provenivano da Cascia.
Filippo, il molinaro (il nonno di Pietruccio) che aveva udito gÌi ordini in italiano, provenienti da ambedue i gruppi, intuì l’equivoco e invitò i duellanti a cessare il fuoco.
“Siamo partigiani!” – si gridò da una parte – "Noi pure"- rispose l’altra – "Cessate il fuoco” –intimò una voce imperiosa -"Pure voi" rispose all’invito l’altro gruppo e, usciti alla spicciolata fuori dalle proprie postazioni, si abbracciarono fortunatamente sani e salvi.
Quindi entrarono festanti nella caffetteria di Nina, dove era stata distillata poco prima una damigiana di grappa a base di vino ed anice; in breve la vuotaronoe il relativo conto è ancora ……….. da saldare.
Osvaldo