Quando a Ruscio si dice “campetto”, non si intende un qualsiasi piccolo pezzo di terra ma ci si riferisce specificamente al Campetto, l’impianto sportivo sito alle pendici di quella collinetta che si è soliti denominare semplicemente “Colle”, tra il fiume Corno e il fosso da tempo detto univocamente “Vorga”. In pratica trattasi della parte terminale della discesa del Monte Ato (versante nord).
All’inizio degli anni Settanta, quel triangolino di terra ha cominciato la sua lenta ma inesorabile evoluzione in impianto sportivo. Si avviò tale fase con il semplice utilizzo come campo di calcio, senza alcun intervento modificativo salvo l’installazione delle due porte (allora con pali di legno e senza reti). Non era certo, in quei primi anni, così funzionale come oggi; ciononostante aveva il suo fascino: un semplice prato per giocare a palla, circondato da siepi selvagge, da qualche grande albero e soprattutto da quel fosso, ricco di trote, in cui qualche donna a quei tempi andava ancora a risciacquare i panni; proprio lì vicino, quasi sotto il ponte.
“Il Ponte” è proprio il nome di quella zona; così, infatti, è denominato il relativo vocabolo catastale.
Se, come detto, nei primissimi anni Settanta il luogo ha iniziato a caratterizzarsi per il campo di calcio, è più o meno un decennio prima che aveva subito una trasformazione ben maggiore: la costruzione del ponte sul predetto fosso (1959-60) e di quello più alto sul fiume Corno (1960-61). Immagino che il tratto di strada dalla settecentesca chiesa dei Sette Dolori al fiume Corno fosse, prima della costruzione dei due ponti in cemento, più stretta e, soprattutto, si mantenesse a livello del “Pian dei frati”, ossia del grande campo pertinenza del casale detto “Paglione”. Quell’andamento in salita sino ad arrivare a “ferire” la costa del Colle deve essere stato richiesto dalla necessità di arrivare a salire sino all’altezza che doveva avere il nuovo ponte sul Corno.
Provo a immaginare come, invece, prima di allora, quella costarella verde del Colle potesse degradare integra e senza soluzione di continuità sino al bordo del nostro piccolo campo ossia sino a quella stradina che oggi costeggia il Campetto per scendere nel Corno e che prima non era altro che il tratto terminale della strada proveniente dalla chiesa, sempre in discesa ma, suppongo, molto più lieve.
Prima della costruzione dei due ponti in cemento, ne esisteva uno solo; era tutto in massi di pietra, sul Vorga, bassino, per salire appena quanto serviva a sorvolare il fosso. Rimangono ancora ben visibili i suoi resti sotto il più alto e ben meno romantico attuale ponte in cemento. Immagino che, appena attraversato il fosso, ci si trovasse già quasi al livello del Campetto.
La denominazione catastale “Ponte” alla zona non deriva certo dai detti due ponti in cemento. Ha origini molto più antiche. La troviamo, ad esempio, nel brogliardo del catasto gregoriano, un documento che risale al terzo decennio dell’Ottocento e, quindi, va correlata al ponticello in pietra. Risale, comunque, ad un’epoca di gran lunga anteriore a quella del catasto gregoriano (ma se ne dirà in un’altra occasione).
Dobbiamo tornare a correre indietro nel tempo su quel pratarello che da ormai quasi 50 anni è detto “Campetto”. Pervenne nella gestione della Proloco di Ruscio a seguito di cessione, formalmente a Mario Lotti che ne era il Presidente, effettuata dai fratelli Angelo e Bruno Peroni(proprio l’Angelo che, come molti già ben sanno, più di tutti si è in seguito prodigato per la realizzazione e custodia dell’impianto sportivo).
La versione incontaminata del Campetto (rielaborazione su immagine fornita da Mario Peroni)
I due fratelli venditori, figli di Vittorio Peroni, erano divenuti comproprietari esclusivi del campo in base ad un precedente atto di divisione tra i più numerosi coeredi del complessivo patrimonio di famiglia.
I più anziani arrivavano a ricordare, al massimo, che a metà Novecento il campo era noto come “orto del prete”, ossia di don Sestilio.
Ancora prima, il nostro campo corrispondeva alle particelle n. 174, 175 e 176 del già citato catasto gregoriano.
Nella prima metà dell’ottocento intestataria delle particelle era Maria Cinzia Arrigoni.
Era figlia di Stefano Arrigoni da Leonessa e, probabilmente, ne era la primogenita, visto che il 23 agosto 1781 aveva già sposato il rusciaro Marcantonio Ascani di Bonaventura. Gli attuali Arrigoni di Ruscio (tanto il ramo di “Zuccobianco” quanto quello di “Mastro Cencio”) discendono dal fratello di Maria Cinzia di nome Francesco e dalla sua seconda moglie Marta Salamandra (la prima, Felicia Perelli, era venuta meno a 37 anni dopo aver partorito 5 figli, nessuno con discendenza).
Stairway to heaven
(la scalinata di accesso al Campetto,tutto sommato
divenuta ormai uno dei monumenti di Ruscio)
Anche Maria Cinzia visse due matrimoni. Perse, infatti, il primo marito Marcantonio nel giugno del 1765, dopo neanche quattro anni di matrimonio, quando lui aveva compiuto appena trent’anni e da solo uno era divenuto papà di Bonaventura. Questa famiglia Ascani e i suoi discendenti erano i proprietari della zona oggi coincidente con il cosiddetto “Palazzo Peroni” in Rusciodisotto (anche sulla storica dinastia rusciara degli Ascani, però, … ci soffermeremo in un’altra occasione).
Maria Cinzia, trascorsi altri quattro anni, il 26 luglio 1789 si risposa con Francesco Peroni (Francesco Antonio) di Nicola, a “causa” del quale sarà destinata ad affrontare altri dieci parti. Francesco è un Peroni del sottoramo rusciaro (poi detto “Ciccarella”) del ramo Peroni triviaro, a sua volta proveniente da …
No, non possiamo permetterci di tornare a divagare. Dei vari rami Peroni, della loro agnazione e degli avi del primo Peroni parleremo un’altra volta. Qui preme sottolineare che proprio da quel secondo matrimonio di Maria Cinzia ha origine il ramo Peroni comprensivo della discendenza di “Ciccarella”. Maria Cinzia e Francesco sono, infatti, i nonni di, tra gli altri, Angelo Peroni detto “Ciccarella”, vissuto negli ottanta anni che vanno dal 1846 al gennaio 1926, a sua volta nonno di Angelo (anche lui ovviamente detto “Ciccarella”), vissuto esattamente nei successivi ottanta anni, essendo nato proprio nel febbraio 1926 per venir meno nel 2006 (curiosità dei numeri).
Forse non è stato del tutto un caso se è risultato proprio Angelo il geloso custode del nostro praticello nei suoi primi trenta anni di destinazione sportiva (“sorta fora!!”). Probabilmente Angelo non ha mai saputo della sua settecentesca antenata e del relativo legame con quel triangolino di terra ma verso questo, ciononostante, doveva avvertire certamente un feeling particolare.
Anche questo Angelo, a cui è oggi intitolato il Campetto, è stato nonno e i suoi congiunti sembrano mantenere vivo il legale familiare-sentimentale con quel prato.
Nel rovistare tra carte di altri secoli, mi sono imbattuto in un atto del 14 ottobre 1797, redatto dal notaio Simone Galassi, che citava Cinzia Arrigoni e, ricordandola come ottocentesca intestataria nel catasto gregoriano della particella coincidente con l’odierno Campetto, mi sono soffermato a leggerlo.
Si apprende che, decorsi vari anni dal matrimonio con il Peroni, Cinzia doveva ancora ricevere la dote promessa di 50 scudi, di cui 10 dovuti dal fratello Francesco Arrigoni e 40 dal padre Stefano, i quali, finalmente, si decidono a provvedere. In particolare il padre, trovandosi “impotente a poter fare lo sborso promesso in effettivo denaro”, cede ai coniugi Peroni “un terreno prativo in vocabolo il Ponte di Ruscio pel concordato prezzo di 40 scudi”. All’inizio della terza delle quattro pagine che compongono l’atto si riportano gli inconfondibili confini del prato: “da uno la strada e da due i torrenti Corno e Volga”.
Dunque la versione settecentesca del Campetto valeva 40 scudi.
Dunque entrò nell’orbita “Peroni” come dote di una moglie Arrigoni.
Dunque proveniva dal padre Stefano Arrigoni (di Sante), abitante in Ruscio ma di origine leonessana. E’ possibile, ma non verificato, che di Leonessa fosse anche la di lui moglie Maddalena, morta il 9 marzo 1808 a circa 65 anni (dunque nata verso il 1744).
Un domani forse faremo un altro passo indietro nel tempo e scopriremo anche per quale via il leonessano Arrigoni arrivò a prendere possesso di quell’appezzamento tra i fossi che poi assegnò a sua figlia Maria Cinzia.
Per ora, del “Campetto”, accontentiamoci di conoscere la storia degli ultimi due secoli oltre che di viverne quella futura, caratterizzata, pare, da una possibile ulteriore trasformazione, stavolta di livellamento.
Marco Perelli
di “Franca” Peroni, di Orsola Tazza,
di Eugenia Marchetti, di Orsola Gervasoni,
di Carlo Gervasoni, di Orsola Gentileschi
(che da vedova risposa nel 1806 Isidoro
Arrigoni, altro fratello di Maria Cinzia).