Alla riscoperta di una pianta dimenticata, ingrediente unico di un piatto antico
Un gradito contributo di Archeoambiente
Il Carduccio (Carlina acanthifolia) è una pianta erbacea perenne della famiglia delle Composite diffusa in tutta l’Europa centro meridionale. In Italia è presente dalla regione submontana a quella subalpina di tutte le zone montuose. Le piante a fusto nullo o molto corto crescono nei prati di montagna aridi e pietrosi e nei pascoli a quote elevate. Sono schiacciate al suolo e le foglie ovali-oblunghe, pennatifide con i lobi variamente incisi e terminati da spine pungentissime, formano una grande rosetta basale fra cui sorge il fusto o, nelle forme acauli, il capolino.
Nelle zone più basse si trova la varietà con fusto più o meno alto.
I fiori sono riuniti nella parte centrale del capolino disposto fra le foglie della rosetta sottilmente sfrangiate o al termine del fusto. Il capolino ha parecchie squame alla sua periferia, le più esterne sono corte e spinescenti, quelle interne sono lunghe, strette e di colore bianco.
I frutti sono degli acheni di forma oblunga ricoperti di piccoli peli lucenti e sono sormontati da un pappo di peli pennati lungo un centimetro.
L’infiorescenza della Carlina ha proprietà igroscopiche e segnala i mutamenti del tempo, infatti, le brattee argentee si aprono con il sole e si incurvano sui fiori quando aumenta l’umidità atmosferica.
La Carlina zolfina è la specie più grande. Le foglie sono più larghe e resistenti. Il grande capolino che all’inizio dell’estate si apre come un disco solare, ha fiori tubulosi gialli circondati da una corona di brattee dorate e lucenti.
La sua immagine appare spesso nelle nature morte del ‘600.
La Carlina è impiegata soprattutto come diaforetico, cioè per favorire la sudorazione, nei casi di febbre, raffreddore, influenza e come diuretico.
Oltre a queste proprietà, la Carlina ha quelle amaro-toniche, digestive, carminative, utili perciò nei casi di mancanza di appetito e di digestione lenta e difficile.
Nella radice della Carlina che si raccoglie in ottobre-novembre quando la pianta è in riposo, sono state trovate delle sostanze ad azione disinfettante, utili in particolare per combattere i germi patogeni dell’epidermide.
Queste sostanze, però, hanno una scarsa tollerabilità quindi è sconsigliabile utilizzarle. Inoltre l’operazione della raccolta delle radici è eminentemente distruttiva.
E’ importante sapere che in molte regioni italiane la Carlina è protetta e che, pertanto, è vietata la raccolta.
Delle Carline sono particolarmente apprezzati i ricettacoli dei bocci fiorali. Privati delle spine e delle numerose brattee che li ricoprono, vengono utilizzati come i carciofi dei quali ricordano in maniera più delicata, ma decisa, il gustoso sapore.
Le Carline sono comunemente conosciute con nomi diversi a seconda delle regioni in cui sono presenti. Liguria : Sciu da guardia – Cardu argentin – Spinuin; Piemonte: Cardon – Articioch d’muntagna – Arasche; Lombardia: Articioch salvadegh – Capù; Veneto: Tiroliro – Spin de pra; Friuli: Jerbe de ploje; Emilia: Bugnanun – Scarzun; Toscana: Carlo pinto – Camaleone – Rosa di terra; Umbria: Attaccabrighe – Carducce – Carduccio; Abruzzo: Carcioffola de montagna; Campania: Rapaguola; Puglia: Cardunceddu; Sicilia: Masticogna – Cacocciola spinusa.