Il farro e i romani: Enea

By proruscio

Richiamo, dai più o meno vaghi ricordi scolastici e ricercando nelle vecchie antologie (e sul web!), il racconto dell’arrivo degli esuli troiani condotti da Enea nel Lazio sul lido di Lavinio, nei bei  e famosi versi di Virgilio scritti nell’Eneide (1° secolo a.c.) in latino e nella classica versione di Annibal Caro in endecasillabi ( 16° secolo d.c.).

Testo originale latino
Eneide VII, 107-134

Aeneas primique duces et pulcher Iulus                               
corpora sub ramis deponunt arboris altae
instituuntque dapes et adorea liba (*) per herbam
subiciunt epulis (sic Iuppiter ipse monebat)
et Cereale solum pomis agrestibus augent.
Consumptis hic forte aliis ut vertere morsus
exiguam in Cererem penuria adegit edendi
et violare manu malisque audacibus orbem
fatalis crusti patulis nec parcere quadris…

(*) adorea liba sono le focacce sacre di cereale   (farro) . Come riporta Plinio il vecchio nella enciclopedica Storia naturale: il farro era chiamato adoreum dagli antichi

Traduzione letterale            
Enea, i primi capi ed il bel Giulio posano i corpi sotto i rami di un’alta pianta, preparano il banchetto e nell’erba mettono focacce di farro sotto le vivande (così Giove stesso ordinava) e accrescono il suolo cereale di frutti agresti.
Allora consumato già il resto, come la scarsezza del mangiare spinse a volgere i morsi verso la piccola Cerere e violare con mani e mascelle audaci il piatto della focaccia fatale né risparmiare le larghe focacce…

Versione di Annibal Caro
Enea col figlio e co’ suoi primi duci 
a l’ombra d’un grand ’albero in disparte
degli altri a prender cibo insieme unissi.
Eran su l’erba agiati; e, come avviso
creder si dee che del gran Giove fosse,
avean poche vivande; e quelle poche
gran forme di focacce e di farrate
in vece avean di tavole e di quadre,
e la terra medesma e i solchi suo
ai pomi agresti eran fiscelle e nappi
Altro per avventura allor non v’era
di che cibarsi. Onde finiti i cibi,
volser per fame a quei lor deschi i denti…

In parole povere; quando per la fame mangiarono anche i piatti (bello sforzo! erano grosse gallette quadrate di farina di farro essiccate!), capirono che la maledizione era finita e si fermarono felici nel Lazio per fondare Lavinio che poi divenne Roma ed accasarsi , un pò come hanno fatto secoli dopo molti nostri compaesani divenuti romani pur restando di stirpe rusciana!

Insomma questa poetica e leggendaria storia, nobilita ancor di più il nostro farro già noto e diffuso tra i popoli italici.

Altro antico legame tra Ruscio, Roma ed il farro sono le tombe romane rinvenute tra il Trivio e Ruscio nei campi dove sempre si è coltivato e si coltiva il farro.
E non sarebbe male che presto si trovino i soldi per metterle in luce e valorizzare l’archeologia del nostro territorio.