“Basta, oggi prendo la macchina e vado a Ruscio”. Quante volte vi è capitato di pensare queste parole dopo una pesante giornata di lavoro per prendersi un momento di evasione. A me capita.
Ma perché. Perché un luogo è capace di evocare sensazioni ed emozioni così forti. Perché anche un paesino così piccolo è in grado di esercitare questa forza. Senz’altro si può rispondere che siamo legati ai luoghi della nostra vita da un misto di esperienze, ricordi, sensazioni, momenti felici di comunità e di famiglia. E’ normale.
Ma c’è qualcosa di più. Ci deve essere un senso in quella sensazione (scusate il gioco di parole) di benessere che si avverte quando si pensa al “proprio” luogo, al nostro Ruscio nel nostro caso, quella sensazione che si avverte solo quando si è a casa propria. Insomma ci deve essere un senso, un senso dei luoghi.
Il termine “senso” racchiude tanti significati che ben sintetizzano a mio avviso il valore profondo di un luogo: tale termine infatti afferisce alla sfera delle sensazioni personali e intime, rimanda ad uno stato d’animo, ad un percepire, è sinonimo di sentimento. Accompagnato da alcuni aggettivi o sostantivi rimanda al mondo dell’etica e della morale, richiama il mondo della logica e del significato delle cose.
Ruscio, vista dalla Chiesa della Madonna della quercia in Monteleone (AMR, Aprile 2018)
Ho mutuato tale espressione (senso dei luoghi) da un passo di un libro in cui mi sono imbattuto alcuni mesi fa: “… i monumenti non sono semplici entità fisiche caratterizzate da una certa composizione materiale, un determinato profilo formale, alcune caratteristiche estetiche; i monumenti sono nello stesso tempo serbatoi di conoscenza e insieme con essa hanno la capacità di incorporare sentimenti, forme sociali, norme morali, sistemi di pensiero condiviso, in una rete di relazioni che si può riassumere nella espressione senso dei luoghi” (1).
Proviamo infatti a pensare per un attimo al nostro monumento ai Caduti, a quel sasso dal Piave, al cippo di Confine: non a quello che sono ma ai valori che evocano. Quelle semplici e povere pietre ci parlano, eccome se ci parlano, di sacrificio, libertà, senso del dovere, unità, comunità, senso di responsabilità. Pochi metri quadrati in termini di quantità, che contengono tali valori così qualitativamente alti.
Pensiamo al campetto, vero e proprio monumento di comunità, il luogo delle Rusciadi, il luogo dei bambini. Un vero e proprio monumento delle emozioni.
Ma questo “senso” non afferisce solo alla sfera sociale. C’è infatti a mio avviso qualcosa di profondamente più intimo. C’è quel “qualcosa di tuo” che campeggia nella targa della piazza “Rusciari nel mondo” nella bellissima frase di Cesare Pavese: “Un paese vuol dire non essere soli, sapere che nella gente, nelle piante, nella terra c’è qualcosa di tuo, che anche quando non ci sei resta ad aspettarti" (2).
C’è qui in gioco quindi la sfera personale, quell’intimo collegamento con la propria identità, la propria spiritualità e con il proprio senso religioso che ho ritrovato in alcune parole di Papa Francesco”: “La storia della propria amicizia con Dio si sviluppa sempre in uno spazio geografico che diventa un segno molto personale e ognuno di noi conserva nella memoria luoghi il cui ricordo gli fa tanto bene. Chi è cresciuto tra i monti o chi da bambino sedeva accanto al ruscello per bere, quando ritorna in quei luoghi si sente chiamato a recuperare la propria identità” (3).
Recuperare la propria identità in un mondo impegnato a omologare e a indirizzare la vita e il pensiero di tutti noi non è poco, direi.
Non è forse questo il valore più profondo dell’ecologia?
Nel “senso” dei luoghi trovo infine anche il senso dello smarrimento, ma non nell’accezione negativa del termine, trovo lo smarrimento dello stupore e della meraviglia, trovo quel naufragare dolce nel mare che si immagina dietro a questo colle e a quella siepe (4).
I nostri luoghi sono allora contenitori di valori sociali, custodi della nostra identità, teatri della nostra spiritualità, motori di stupore e meraviglia.
Il nostro angolo di terra come diceva Orazio “ci sorride” (5), anche se ferito e un po’ ammaccato ci sorride sempre.
Non abbandoniamolo mai. Vorrebbe dire abbandonare se stessi.
E questo non avrebbe senso.
(1) Maurizio Bettini, A che servono i Greci e i Romani, Einaudi, 2017
(2) Cesare Pavese, La luna e i falò, 1950
(3) Papa Francesco, lettera enciclica Laudato si, 24 maggio 2015, § 84
(4) Giacomo Leopardi, L’infinito, in Idilli, 1826
(5) La frase completa è: "ille terrarum mihi semper praeter omnes angulus ridet"; tradotta letteralmente, significa quest’angolo di terra mi rende felice sopra tutti gli altri.(Orazio, Odi, Il, 6, 13). La locuzione descrive le cose piccole e graziose, i luoghi appartati nei quali, lontano dal caos, si ritrova la felicità.