La Ferriera di Ruscio

By proruscio

Nella precedente edizione del notiziario vi abbiamo descritto l’evoluzione storica della miniera di lignite di Ruscio, raccogliendo elogi e consensi da parte dei lettori e di organi di informazione regionale.
Ora pensiamo di fare cosa utile e gradita, anche in ossequio agli indirizzi augurali del Presidente, offrendovi un’interessante testimonianza storica di quella che fu la ferriera di Ruscio, attingendo direttamente presso le fonti degli archivi del Vaticano.
In questa occasione riteniamo di essere stati degli ottimi minatori avendo trovato un ricco filone di storia della nostra vallata.
Quante sorprese, amici lettori, ci riserva ancora questo piccolo angolo di terra umbra!

La miniera di Monteleone di Spoleto

“Deve in essa ravvisarvi la più celebre ed una delle più fruttuose di quelle dello stato pontificio; mentre è da numerare ancora fra le più ragguardevoli dell’Italia. Al pontefice Urbano VIII (già vescovo di Spoleto) si volle attribuire la gloria di averla ritrovata ed aperta nell’anno 1641, e come di fatto segnalato e memorabile se ne batterono due medaglie, dell’una delle quali poniamo in luce l’incisione, a dichiarazione ed ornamento del soggetto.
Grandi probabilità inducono però a credere, che le primitive escavazioni a riferire si abbiano agli antichi abitatori di queste contrade, e che si riprendessero ancora nei tempi di mezzo (Piersanti A. Il Leone degli Appennini e sue vicende espresse nella descrizione del Monteleone dell’Umbria).

Può bene attribuirsi all’esser stato il luogo avuto sempre per miniera; il trovarlo appartenere per diretto dominio alla sede apostolica, siccome si fa manifesto da due atti conservati negli archivi vaticani: il primo fatto nel 1496, una transazione fra la camera apostolica e la casa Orsini; l’altro dichiarazione d’esser Monteleone bene feudale di detta camera e non allodiale degli Orsini.
Ma qualunque cosa si voglia di ciò credere, degno sempre di grande encomio si chiamerà Urbano VIII per aver provveduto all’attivazione di questa miniera, schiudendo allo stato una nuova sorgente di utilità.
Vi spedì esso ottimi artefici, ordinò lavori grandiosi, aprì, vincendo molte locali difficoltà, una strada rotabile propria della miniera, eresse dalle fondamenta un opificio, secondo le cognizioni di quei tempi perfetto.

In esso si seguivano in appositi locali le operazioni di abbrustolir la miniera, del successivo lavarla e finalmente per fonderla. Per dare al forno la quantità di acqua atta a produrre il vento necessario, ordinò il pontefice che fosse deviata una parte del fiume Corno, che scendendo dalle montagne di Leonessa, accresciuto di molte sorgenti d’acqua e scoli di monte, scorre per la valle di Monteleone. Pertanto innalzato dal letto del fiume un solido muramento (lo chiamano “parata”) e arrestandone il corso, venne esso astretto a sollevarsi sino all’altezza dov’era costruito il canale per ricevere e portare al forno l’acqua così derivata. Questi lavori, che ottennero tutto lo scopo che si voleva conseguire con essi, durarono tre anni ad essere compiuti e ne fu scolpita nel marmo la memoria in due iscrizioni state allora poste in sul luogo, mentre due medaglie già sopra allegate ne diffondevano per ogni dove la celebrità.

Esse erano del seguente tenore:

 1.
URBANUS VIII PONT. MAX
VIAM HANC FODINARUM USVI
ET PUBLICAE COMODITATI APERVIT
ET STRAVIT
AC MONTEM LEONEM CASSIAM
ET NURSIAM PROTENDIT
ANNO  SALUTIS  MDCXXXIV
PONT..XII
 
 

 2.
 URBANUS VIII. PONT. MAX
 INVENTIS ET RECLUSIS IN
 UMBRIAE FINIBUS PROPE MON-
 TEM LEONEM FERRI FODINIS
 AEDIFICIUM ET FORNACEM AD
 EXCOQUENDAM MATERIAM ET
 FERRUM FUNDENDUM EXCITAVIT
 PONTEM EXTRUXIT AC VIAM
 EXPORTATIONI IDONEAM STRA-
 VIT

La miniera presentò grandi vantaggi alla camera apostolica; sicché accrescendosi sempre l’attività nello scavarla, il massimo prodotto s’ebbe nel pontificato di Clemente IX. Laonde si rende più che probabile la tradizione, in Monteleone mantenutasi costante, che fra gli altri cospicui lavori a cui fu usato questo ferro s’abbia a numerare ancor quello dei grandi cancelli, coi quali il nominato pontefice chiuse il portico del Pantheon. Che negli edifici del Vaticano si adoperasse ella, è cosa che non può mettersi in questione.

Duravano tuttavia i lavori con esito sempre soddisfacente quando nell’anno 1703 sopravvenne il funesto terremoto, che desolò tutta la contrada d’attorno non lasciando intatto edifizio alcuno, con grande spavento e miserabile fine di molte persone. In quel disastro ruinò la parata del fiume, che tornò al naturale suo corso.

Così mancarono le acque, che formavano il vento del forno e tra per questa essenzialissima mancanza, tra per esser l’opificio guasto e ruinoso in diverse sue parti, i lavori del ferro furono sospesi. Ma il pontefice Pio VI, desideroso di promuovere quanto tornar potesse ad utile dello stato e a gloria del suo governo, propose il cardinale Carandini, perfetto della congregazione del Buon Governo, di mettere nuovamente in attività questa così celebre miniera di Monteleone.

Fatta scrupolosa ispezione del tutto e conosciuto il vantaggio che dalla ripristinazione dei lavori e dello scavo era per conseguirsi, commise il papa al Carandini medesimo la cura dell’opera e l’opificio venne con tal mezzo ristabilito. Se non che, ebbe indi a non molto a riuscirgli dannoso il mutamento che sopravvenne nelle sorti d’Italia per opera dei repubblicani di Francia *. Pure il nuovo governo, che per brevissimo e difficil tempo si vide sorgere a Roma, ebbe pensiero delle miniere di Monteleone, dove mandava il celebre geologo Scipione Breislak, creato ispettore dei lavori mineralogici. Ogni provvedimento restò peraltro senza effetto, prima per la caduta di quel governo quindi per le gravi circostanze, che non permisero al nuovo pontefice Pio VII di estendere le sue cure alla miniera, né all’opificio; che poi trasandato e rimasto bersaglio alle ingiurie del tempo, per non dire a quella degli uomini nei notissimi avvenimenti delle ultime guerre, patì tutti i danni della devastazione e dell’abbandono.

Di questa perlustrazione del Breislak, ci è però rimasto almeno alcun frutto nel giudizio pronunziato da quel sommo conoscitore sul ferro di essa miniera, che dopo averne messo in risalto le qualità specifiche del minerale, a questi pregi aggiungeva “… esser la miniera di facile escavazione come quella che si forma di minerale deposto dalle acque, laonde travasi un fondo delle valli e superficiale molto alla terra e si estraeva a cava aperta. A titolo informativo mi sembra opportuno far rilevare che la miniera, cioè il punto di escavazione, (come raffigurato sul retro della medaglia) era posto in alto e precisamente sotto il monte Birbone denominato così perché essendo ricco di ferro, era soggetto ai tiri “birboni” di Giove Pluvio, mentre “l’opificio” (la ferriera) era posta nell’attuale sede dell’omonimo ponte.

*Si conosce dalla relazione del Breislak, che, per esigenze militari, furono tolti alla ferriera anche i mezzi di trasporto.