La geografia del dolore: l’arte perduta

By proruscio

Uno dei più noti storici dell’arte del nostro tempo, Federico Zeri, ha affermato che Assisi era "per l’Europa dei secoli XIII e XIV quello che Atene era per il mondo antico", ovvero il cuore pulsante del rinnovamento artistico di un’epoca che vede l’inizio della lunga gestazione che poi ha condotto alla nascita della civiltà moderna.
Tale opinione così autorevole ci aiuta ad inquadrare la gravità della situazione che si è venuta a creare nella città di San Francesco ed in tutto il resto dell’Umbria a seguito del terremoto, che, ovviamente, ha catalizzato la nostra attenzione prima di tutto sulla perdita di vite umane e sulla distruzione di interi sistemi di organizzazione sociale, ma – non dimentichiamolo – ha anche inferto durissimi colpi al nostro patrimonio artistico. Subito dopo le prime scosse più drammatiche, si è anche aperta la polemica tra chi affermava che fosse ingiusto, se non irriverente, discutere di monumenti perduti o lesionati a fronte della morte di alcuni esseri umani, e dei gravissimi disagi in cui si sarebbero trovati i terremotati, e chi, dall’altro lato, ricordava che anche le testimonianze del passato dovevano essere tenute in considerazione ed occupare l’attenzione dell’opinione pubblica.
Come sempre accade in queste circostanze estreme, bisognerebbe mantenere una posizione ragionevole ed equidistante, ricordando che il sacrificio umano occupa sempre un posto primario, ma anche non perdendo di vista il valore fondamentale che ha l’arte nella vita dell’umanità: senza l’Atene di Pericle, o senza l’Assisi di Giotto, non saremmo arrivati al grado di evoluzione civile attuale, ed i monumenti di queste due e di tante altre epoche stanno lì a rammentarcelo.
L’arte è cibo vitale per gli uomini; li nutre spiritualmente, appaga il loro senso estetico e le loro capacità creative, ma – parlando più volgarmente – è anche una miniera inesauribile di lavoro, di sviluppo economico, proprio come Assisi sta a testimoniare.
Perché allora non sottolineare quanto il terremoto di questi ultimi due mesi abbia colpito al cuore il nostro patrimonio artistico?
Per quanto tempo non potremo ammirare i capolavori di Giotto, se pure si riuscirà a salvarli e riportarli all’antico splendore?
Quanti anni dovranno attendere i grandi e piccoli centri dell’Umbria e delle Marche prima che le loro chiese vengano riaperte al culto e ai turisti, o che i loro nobili Palazzi possano tornare ad ospitare uffici pubblici o istituzioni culturali?
Gli studiosi che hanno avuto modo di constatare da vicino la gravità della situazione hanno riferito di effetti ancora più disastrosi di quelli dei bombardamenti dell’ultima guerra, ma non disperano di poter recuperare parte dei gioielli che sono andati distrutti.
Negli innumerevoli servizi che abbiamo visto in televisione nei giorni caldi del dopo terremoto, ci è stato riferito della meticolosa opera di recupero dei frammenti degli affreschi all’interno della Basilica di San Francesco: queste porzioni a volte piccolissime verranno catalogate e ricomposte pazientemente, così come è stato possibile per il portico di San Giorgio al Velabro a Roma, gravemente colpito da una bomba alcuni anni fa.
Tuttavia, anche se qualcosa si potrà salvare, così non sarà per i capolavori irrimediabilmente perduti: gli affreschi di Cimabue, maestro probabile di Giotto, sempre a San Francesco, o il campanile del Duomo di Foligno, il cui crollo è divenuto un documento agghiacciante poiché ripreso in diretta da una troupe televisiva.
Aldilà dei casi più noti e pubblicizzati, esiste una vera "geografia del dolore" che tocca praticamente tutte le città ed i paesi umbri, fino ad arrivare al nostro piccolo Ruscio, che solo da poco tempo ha recuperato il suo monumento più significativo, l’Addolorata, e già si trova costretto a temere che i quasi vent’anni di attese e, perché no, di "sangue avvelenato", perché le cose non sempre sono andate per il verso giusto, possano essere rimessi in discussione. Non ci resta che sperare intensamente che la terra abbia finito di tremare, e la vita civile e, ricordiamolo, culturale della verde Umbria, cuore non solo geografico, ma anche artistico del nostro paese, riprenda a scorrere più serenamente, e sia data l’opportunità agli addetti ai lavori ed ai tanti volontari di rimboccarsi le maniche affinché la ricostruzione sia celere.