Quando ancora non esistevano i ritrovi attuali e soprattutto non “funzionava” la televisione se non qualche gracchiante radio Phonola, il locale più frequentato dai seguaci di Bacco era l’osteria al numero 11 dei fratelli Belli: Marino, Nello e Angelocca. Qui si poteva centellinare una mezza “fojetta” di vino così come gustarsi alcune sigarette Alfa acquistate una alla volta o un mezzo sigaro toscano trattenuto tra le labbra fino all’esaurimento.
Ma più che luogo di ritrovo o di spaccio alimentare, il locale diveniva a sera centro di discussioni su futili argomenti legati per lo più all’agricoltura, ai metodi di coltura, alle probabilità in percentuale dei raccolti, ma sovente luogo di scherzi da parte dei personaggi più burloni di Ruscio.
A tal proposito, la signora Bianca, figlia di Nello, sorride ancora ricordando, tra i tanti scherzi, quello fatto ai danni di Settimio, detto Cicchettino, che era solito addormentarsi ai bordi del grande tavolo da gioco.
Forse perché irritato dal russare o perché sfortunato al gioco, Giovanni Peroni, meglio conosciuto come Mappa, gli legò le gambe ai piedi dello sgabello.
Quindi, facendo la mossa di “bussare” al gioco del tresette, chiese ad alta voce la “meglio” con un violento pugno chiuso sul tavolo creando un rumore tremendo. Al che “Cicchettino”, sobbalzando improvvisamente si trovò in un attimo a sedere per terra impedito com’era a rialzarsi.
Riavutosi dallo spavento, rifilò repentinamente un sonoro ceffone ad un avventore vicino a lui (di cui non facciamo il nome), che si stava sbellicando dalle risate, facendone così le spese.
Vi lascio immaginare le risate di tutta la platea dei presenti.
Ed è ormai passata alla storia quella volta che Mastro Giovanni, noto pescatore di trote a mano, portò un’incartata di pesce ancora vivo a Nello per farselo pesare; ma grande fu lo spavento quando al contatto con il piatto della bilancia l’involucro si aprì e fuori uscì un frustone che seminò il panico tra gli ostanti.
Memorabili le “munellate” dei gemelli Bernabei e in genere di tutti noi ragazzi che venivano a passare le vacanze dai nonni, quando si faceva razzia di caramelle e marmellata poste in bella vista dentro panciuti vasi di vetro sopra il bancone.
Alcuni mi hanno ricordato le scenette di cui era protagonista abituale il compianto Giovannino (Vannozzi), ed in particolare quando chiese a Nello di preparargli una bella merenda a base di pane e salame.
Dopo che Nello ne ebbe affettato più di mezzo, Giovannino lo invitò a proseguire:
“ancora…ancora, basta così il resto affettalo, pesalo e mettelo in due belle fette di pane casareccio”.
Personaggli di un teatro stabile, ma con un copione che poteva variare sera per sera. Celebri le scopette quotidiane, “tete a tete”, tra Nello e Peppe “lu stortu”, ma memorabile fu la sfida durante la quale tra una rivincita e l’altra sempre negativa per Nello, si era giunti per gradi fino alla disputa di una damigiana di vino, tra la disperazione di Marino che dal bancone mandava irriferibili imprecazioni, la cui eco era arrivata fin sul piano superiore alle orecchie della sorella Angelocca.
Poi, però, tutto si restrinse ad un fiasco di vino da portar via.
Ma quanta paura, quel giorno!
Motivo di attrazione erano le manifestazioni, dei poeti a braccio (che si tenevano nella saletta antistante), tra i quali emergeva l’estro e l’inventiva canora dal cantoniere Santino Pasquali, unitamente a Marchetti Nicola, al “poeta” del Trivio, Salvatori, a Pietropaolo ed ad altri convenuti a duellare dai paesi vicini.
Torneo canoro, incentrato su un tema e disputato a base di ottave rimate, durante il quale i protagonisti mettevano in risalto le loro virtù poetiche esaltandosi, sempre più, sotto un andirivieni di litri di vino. Con Vittorio Ottaviani siamo ritornati, con una certa nostalgia, a visitare il locale, che la signora Bianca e i suoi figli custodiscono con cura ed abbiamo rivisto il lungo bancone di marmo sul quale sono passati centinaia e centinaia di bicchierini di Ramazzotti, Ferrochina Bisleri, marsalini e cartocci di rigatoni e cannolicchi… Tra i vari arnesi del mestiere gelosamente conservati, riposto in uno dei cassettoni, abbiamo dato un’occhiata ad un consunto libro, dove sono trascritti tutti i nomi dei vari debitori, il libro del “panunto”, a testimonianza del trascorrere delle varie generazioni che si sono succedute nel nostro paese.
Ora il vecchio numero 11 di Piazza dei Sei lo stesso portoncino, rimesso a nuovo, custodisce per sempre i segreti di questo locale, ma la porta interna, rimasta tale e quale per fatale combinazione, mostra i segni vetusti di un altro tempo, di un altro modo di vivere trascorso nell’austerità, ma anche e soprattutto nella sincerità e nella genuinità degli avventori e dei gestori.