Possiamo considerare Luigi Cicchetti, per i Rusciari Giggettone, come l’ultimo vero norcino. con il quale termina questa antica figura della storia contadina, cioè il boia dei maiali.
L’uccisione di questo animale domestico, pur presentando risvolti di una certa crudeltà, ha rappresentato sempre per i contadini una cerimonia festosa e significativa. Descriviamone i particolari.
Dopo che "lu porcu" ( Nino per la padrona) era stato ben nutrito dentro "lu stallittu" per tutta l’estate e l’autunno, di solito, subito dopo Natale, appena cominciava a farsi sentire il freddo invernale, si decideva che ogni giorno era buono per "ammazzare lu porcu".
Bisognava allora prenotare "lu norcinu", il quale fissava la data fatidica, sempre che non fosse un tempo dolce. perchè una temperatura mite avrebbe avuto un effetto negativo sulla bontà dei prosciutti, dei salami e delle salsicce.
La mattina, di buon’ ora, ricordo che Giggettone con la balla a mò di parananza e armato di coltellaccio del mestiere, raggiungeva il luogo davanti "allu stallittu", dove intanto già era stata istallata la callara per far bollire l’acqua e acceso un grande fuoco di paglia a secondo del tipo di bruciatura della pelle che si volesse adottare.
Il maiale ormai pesante e lento nei movimenti veniva fatto uscire con il solito trucco della cuccumella di granturco e appena fuori, alla povera bestia veniva legata una zampa posteriore.
Aggredito e sollevato da robuste braccia era posto sopra un tavolaccio al quale veniva legato ed a questo punto interveniva Giggettone che, dopo aver preparato lo spirito con alcuni bicchieretti di vino, dava inizio al macabro sacrificio, assumendo grottescamente la posa del boia, dando ordini a destra e a manca.
Un colpo secco ed il coltello a punta penetrava il maiale sotto il collo per mirare direttamente al cuore.
Tutto questo in mezzo alle urla del maiale che spesso duravano a lungo se il norcino non centrava il cuore e a quelle più pressanti dei munelli che attendevano la consegna della coda per bruscarla sulla fiamma, mentre i cani abbaiavano impazienti per la loro parte di fiele.
Il maiale veniva intanto pelato con getti di acqua bollente o "bruscato" con il fuoco della paglia, quindi ben pulito e appeso a gambe larghe. si procedeva a spaccarlo e a sezionarlo tra i soliti commenti e scommesse sul peso, sull’altezza del lardo, sulla grandezza dei prosciutti.
Allora il maiale si pesava a "decime" e 60 decime erano due quintali; inoltre veniva considerato un buon maiale se questi aveva un lardo molto alto (almeno "quattro dita"), esattamente al contrario di oggi. Tutto il maiale cosi’ sezionato veniva riposto in cantina e nei giorni successivi le singole famiglie preparavano i sanguinacci, le salsicce, salami, la coppa (con le scorze d’arancia),le lonze, i dolci fegatelli e lo strutto contenuto dentro uno speciale budello.
Alla fine tutti i pezzi venivano appiccati sulle pertiche per essere affumicati e poi alcuni di essi sparivano in quanto venivano mandati ai parenti di Roma, per mezzo della Saura, in cambio de "lu panaru" (vedi poesia di Nicola Marchetti) pieno di portogalli, mandarini, tonno, fichi secchi ed altre specialità natalizie della Capitale.
Ma di questi scambi familiari parleremo nel prossimo numero di Pasqua; a noi resta impressa nella memoria la figura di Giggettone, rosso per natura o sotto l’effetto stimolante dei bicchieretti di vino propiziatori, mentre procedeva all’annuale rito dell’uccisione de "lu porcu", in una atmosfera che vedeva Lui, il personaggio, la bestia, la vittima urlante ed il contorno festante ed eccitante dei presenti.