Alla scoperta di insospettabili legami
Il trinomio risulta difficile da conciliare.
Eppure un nesso c’è.
Negli archivi storici del Comune di Monteleone di Spoleto è conservata una grande mole di documentazione. Oltre a quella ufficiale e burocratica, anche una serie di piccola corrispondenza, in molti casi si tratta di brutte copie di missive inviate, dalla quale si puo’ trarre una precisa immagine della vita a Monteleone.
Un esempio? Eccolo.
Ci troviamo nei difficili anni della II Guerra Mondiale, e piu’ precisamente nell’agosto del 1943. Il drammatico “otto settembre” era trascorso da appena un mese e siamo all’inizio del periodo di guerra piu’ duro che Monteleone e il suo territorio dovranno vivere e che sicuramente meriterebbe una analisi piu’ approfondita. Rastrellamenti, uccisioni e agguati, guerriglia e azioni di rappresaglia tra i partigiani italiani e jugoslavi e le truppe germaniche e della Repubblica di Salo’ sono lo sfondo sul quale si svolge la nostra piccola storia.
Storia di vita quotidiana, di chi, pur nella bufera di una guerra spesso combattuta senza divise, ne’ certezze, tenta di riportare i ritmi e i riti di una ordinaria vita civile.
Il razionamento dei generi alimentari, la infausta Tessera Annonaria, le requisizioni giustificate da necessita’ militari, le difficolta’ nei trasporti, rendevano impossibile l’approvvigionamento di vino, non solo per uso, per cosi’ dire, profano, ma anche per l’uso religioso.
Mancava anche il Vino per celebrare la S. Messa!
Archivio Comunale di Monteleone di Spoleto – ACM 1943
– clicca sull’immagine per ingrandirla –
E così il Commissario Prefettizio di Monteleone scrive al collega Cav. Vincenzo Meini di Poggiodomo:
I parroci di questo Comune – Mons. Raffaele Forconi e Silvestri D. Sestilio hanno impellente necessita’ di vino per la celebrazione della Santa Messa. Dovendo al riguardo usarsi vino che abbia carattere di genuinita’, Vi prego vivamente accogliere la richiesta che i predetti sacerdoti fanno per mio tramite.
In attesa di Vostro cortese riscontro Vi ringrazio e saluto distintamente. Il Commissario Prefettizio.
(ACM, f 1943, n 3499 III 3 , copia)
Non abbiamo dubbi che tale cortese richiesta, vista anche la rilevanza dei richiedenti, sia stata felicemente esaudita. Ma perche’ scrivere a Poggiodomo?
E qui ci viene in soccorso Mariano Cicchetti, funzionario del Comune e responsabile dell’Archivio Storico di Monteleone al quale dobbiamo, non solo, la possibilita’ di consultare detto Archivio, ma anche e soprattutto la storia che segue.
A Mucciafora, frazione di Poggiodomo, in una fascia di terreno lunga circa 5 chilometri, posta a quota 750-950 m.s.l.m., in pochi appezzamenti solatii, piu’ riparati dai rigori del nostro freddo inverno, si possono coltivare delle piccole viti, per una discreta produzione di un vino aspro dal duro carattere, apprezzato dai palati piu’ forti.
Panorama di Mucciafora
Le viti coltivate erano delle qualita’ martone, genova, pizzutello e soprattutto pecorino, quest’ultima uva piuttosto zuccherina.
A pensarci bene, anche a Ruscio, Angelo Peroni, nel riparato orto casalingo, curava delle viti, poste a pergola, dai grappoli di piccoli acini rossi, che il nostro, abilmente, trasformava in vino. Un tralcio di quella stessa vite, donata da Angelo, cresce rigogliosa nel giardino di Renato Peroni. Poco distante, a Ruscio di sopra, intorno al campo di bocce, Giovanni Carassai aveva qualche filare d’uva; alcune piante
sono tuttora visibili. A Casale Fonticchio, lungo la strada che conduce a Cascia, i Gervasoni, e per primo Giocondo, coltivavano, riparati dalla tramontana, una piccola vigna, i cui filari erano sostenuti da piante di olmo.
E fin qui, la relazione dai primi due membri del trinomio e’ stata chiarita.
Impresa piu’ ardua sembra trovare il terzo legame.
Proprio a Mucciafora, sul muro della antica scuola e’ affissa una lapide che riporta il sonetto che il Vate, Gabriele D’Annunzio, dedico’ all’amico mucciaforino Lorenzo Flamini e riportata nell’opera “Le faville del maglio”:
Lorenzo, è cotta l’uva di Mucciafora
corcata a solatio nel suolo arsiccio
o pendula per l’agile viticcio
della canna che ai venti più non plora.
Te la colgan le dita dell’aurora
e te la porgan folta sul graticcio
ove si muta il grappolo nericcio
in porpora di re che il vin colora.
Il Flamini, pastore dedito alla transumanza – cosi’ come ci spiega il Prof. Americo Bruschini, noto esperto storico locale – era un tipo particolarmente estroverso, gioviale scherzoso e dalla facile confidenza. Si ipotizzano due circostanze nelle quali possa essere venuto a contatto con il Vate, il tempo necessario a fargli assaggiare il vino del proprio paese e a decantarne le qualita’.
Durante il servizio militare, al fronte nel corso della I Guerra Mondiale, magari in qualita’ di autista, o di attendente, oppure – e questa e’ la tesi piu’ accreditata dal Bruschini – durante il periodo della transumanza. Ben sappiamo quanto D’Annunzio fosse legato, nella visione bucolica della natura, ai pastori – Settembre, andiamo. E’ tempo di migrare. Ora in terra d’Abruzzi i miei pastori lascian gli stazzi …
Cosa incontrovertibile e’ che D’Annunzio non solo assaggio’ il vino di Mucciafora ma venne anche a conoscenza dei segreti, quasi alchemici, della sua preparazione.
Nel sonetto, infatti, si fa preciso riferimento alla antica ricetta: una parte dell’uva, veniva bollita per tutta una giornata in grandi caldai, condensandosi fino a ridursi a circa un terzo della quantita’ iniziale. Il liquido ottenuto, quasi mosto cotto, veniva riversato nelle botti per continuare la fermentazione con il restante vino.
Talvolta, per donare al vino un colore rosato, nelle botti veniva messa anche poca uva nera, schiacciata a mano, con tutta la cuticola (la buccia dell’acino, in dialetto “coppo”).
Questa modalita’ di vinazione, ben descritta dal nostro Bruschini, permetteva di produrre un vino piu’ corposo e forte, oltre renderlo di piu’ facile conservazione.
Il vino mucciaforino era molto conosciuto e se ne faceva anche una certa esportazione verso territori limitrofi (la produzione si attestava intorno ai 700 quintali).
E negli anziani di Mucciafora e’ ancora vivo il ricordo di muli, legati alle fratte degli orti a “pacigno” (in dialetto: assolati) caricati delle cupelle (barili) per trasportare il vino fino a Monteleone, Ruscio o Leonessa.
A volte il viaggio avveniva passando di nascosto addirittura per sentieri che scendono lungo le pendici del Coscerno, fino a Monteleone, per evitare il controllo della Guardia Comunale.
Quell’asprigno vinello placava la sete dei contadini della nostra zona, specie dei mietitori che arrivavano in estate .
Oggi, di tale tradizionale coltivazione, a Mucciafora rimane una sola vigna.
Ecco quindi come, durante una piccola ricerca nella nostra storia appena passata, possiamo scoprire legami e collegamenti insospettabili.