Quest’anno la ricorrenza della Liberazione di Roma e’ stata festeggiata in modo solenne, con cerimonie nei luoghi sacri della memoria, con musiche ed inevitabili discorsi. Un’iniziativa lodevole e’ stato l’allestimento presso il Vittoriano di una mostra fotografica con testimonianze, documenti, foto e tanti ricordi di quello scorcio di storia che segno’ l’avvio della fine di una guerra dolorosa, lacerante e confusa.
E’ giusto che queste ‘date’ siano sempre ricordate, affinche’ gli adulti non dimentichino e i giovani conoscano e crescano con sentimenti di fratellanza e di liberta’; valori in cui credettero i nostri nonni, i nostri padri e tutti coloro che per essi combatterono e morirono.
Io ho vissuto tutti gli anni della guerra e del dopoguerra con l’incoscienza della fanciullezza, prima e della gioventu’, dopo; in modo particolare, ricordo ogni giorno di quel terribile periodo che va dal 1943 al 1944. Il bombardamento di Roma del 19 luglio 1943, porto’ a Ruscio molte famiglie residenti nei quartieri piu’ colpiti: Prenestino (la mia famiglia), San Lorenzo (zio Giulio Belli con i sette figli), Pigneto (le sorelle Maria e Nena, mamma e zia di Tommassina, Pina, Marcello e Giovanni) e, per chi aveva provato il terrore delle bombe, il nostro paese apparve come un’oasi di pace. Mancavano le necessita’ quotidiane, ma noi, giovanissimi (sedici, diciassette anni), ci accontentavamo di poco: era sufficiente stare insieme, parlare, mangiare patate cotte nella cenere, nocchie e grugnali. La guerra sembrava lontana, anche perche’ le notizie arrivavano a Ruscio con molto ritardo e in modo frammentario. Ma, purtroppo, anche questa apparente serenita’ venne a mancare con l’arrivo in paese di un gruppo di tedeschi: i nostri ragazzi non erano piu’ sicuri ed alcuni di essi si rifugiarono a Rescia, o in casali piu’ nascosti, o presero la strada della montagna.
Ricordo perfettamente il terrore negli occhi di una mamma, la signora Zoe (non di Ruscio) (n.d.r. moglie di Tito Belli, fratello di Carlotta Baldarossi in Peroni) che, da Civitavecchia, era venuta nel nostro paese per proteggere i suoi due figli quasi ventenni, trovando alloggio nella casa accanto alla nostra, oggi di Compagnucci. Si salvarono per miracolo, perche’ riuscimmo a sistemarli nella nostra soffitta.
Inizio’ un autunno freddo con nevicate precoci e coloro che avevano perso la casa per forza maggiore, rimasero a Ruscio, mentre la mia famiglia ritorno’ a Roma, dove mio padre era rimasto troppo tempo solo ed, inoltre, io non intendevo perdere l’anno scolastico e desideravo sostenere gli esami di maturita’.
La nostra casa di Porta Maggiore fu dichiarata inagibile e, per nove mesi (il periodo dell’occupazione tedesca di Roma), fummo ospiti dei nostri parenti Salamandra, in Via Nomentana.
Anche se per me fu molto difficile studiare per l’affollamento che regnava in quella casa, io e mia sorella Nella, abbiamo di quei mesi un bel ricordo, nonostante i continui allarmi aerei e la mancanza di cibo e vestiario. Le nostre mamme (la mia, zia Teodora e zia Angelina) fecero i salti mortali, unendo fantasia e risparmi per non fare mancare nulla a noi ragazzi (Raffaele, Leondina, Renata, Maria Rita, Giovannina e Nella).
Arrivo’ Pasqua del ’44 e noi, a Roma, apprendemmo la terribile notizia dell’eccidio di Leonessa, in cui caddero, sotto il piombo nazista, cinquantuno adulti e ragazzi. Anche Monteleone ebbe i suoi martiri, fra cui un giovanissimo, quasi un bambino, mentre molti uomini, dopo un rastrellamento, furono portati a Roma, nei locali di Cinecitta’.
Mentre si vociferava di un loro possibile trasferimento in Germania, una mattina i nostri compaesani trovarono i cancelli aperti: gli Americani erano alle porte.
La sera precedente il 4 giugno 1944, affacciati alla finestra di Via Nomentana, vedemmo passare le ultime resistenze tedesche, che fuggivano incalzate dagli Alleati: si diceva che durante la ritirata avrebbero minato i ponti di Roma. La paura aleggiava, ma la radio clandestina, per rassicurare i romani, aveva annunciato che la liberazione di Roma era imminente.
Al mattino presto ci affacciammo e sotto di noi, sdraiati sui marciapiede, stanche ma gia’ festeggiati da molti cittadini, c’erano gli americani. La prima cosa che mi colpi’ furono le loro divise chiare, molto diverse da quelle cupe dei tedeschi.
Alla fine della guerra furono pubblicati molti libri, diari e testimonianze da parte dei veri protagonisti che la guerra aveva risparmiato; ne ho letti tanti, perche’ volevo conoscere meglio ed approfondire quel doloroso periodo che, anche se in modo marginale, avevo vissuto e che aveva condizionato, per sempre, la mia giovinezza e quella dei miei coetanei.