Ogni anno, il giorno della festa di Ruscio, quando si svolge la commemorazione dei caduti, il mio pensiero corre a mio nonno Felice Salamandra, che partecipò alla grande guerra, fu decorato con la medaglia d’argento al valor militare, tornò vivo, anche se invalido ad un braccio. Ignorando ciò che il destino aveva in serbo per lui, si sposò con Lotti Teodora nel 1925 e aprì un negozio di carbone a Roma, ebbe tre figli in 5 anni e trovò poi la morte, il 17 maggio del 1930, per una rapina proprio nel negozio di carbone in Via Adda.
Per noi nipoti, che non lo abbiamo mai conosciuto è sempre stata una figura quasi mitica e altrettanto misteriosa poiché mia nonna è sempre stata poco disponibile al racconto. Il suo dolore era stato così grande che anche a distanza di molti anni e nonostante altri lutti per lei insopportabili, quali la prematura morte di mio padre Raffaele, non aveva piacere di rinnovarlo.
Tra i miei ricordi d’infanzia più cari ci sono i rari momenti in cui io e mio fratello Andrea eravamo ammessi a vedere la medaglia d’argento di nonno, custodita con estrema cura nel suo cassetto più riservato. Era l’unica medaglia, fra le tante che nonno aveva ricevuto, che non aveva dato nelle raccolte di metalli preziosi per la Patria ed ogni volta ci raccontava del bellissimo diploma che l’accompagnava, in cui era scritta la motivazione e che era andato perduto durante il processo seguito all’assassinio di nonno. Per nonna Teodora era un ulteriore cruccio che ci spingeva a non fare altre domande, anche se le poche notizie incise sulla medaglia sollecitavano la nostra curiosità.
Negli ultimi anni, forse perché invecchiando si sente più forte il legame con il proprio passato, ho cercato di scoprire la storia di questa medaglia e dopo alcuni tentativi infruttuosi, questo inverno ho avuto tra le mani proprio il diploma originale, quello che nonna ha rimpianto per una vita intera.
L’emozione del ritrovamento dell’originale è avvenuta nei depositi dell’archivio di stato dove sono conservati tutti gli atti processuali della Corte di Assise di Roma e dove ho avuto modo di consultare tutti gli atti del processo relativo all’omicidio di mio nonno.
Nel diploma del Ministero della Guerra S.M. il Re con suo Decreto in data del 21 marzo 1920, concede “ al soldato 1704 compagnia mitragliatrici Salamandra Felice la Medaglia d’argento al valor militare.”.
La motivazione dell’onorificenza recita:
“ Nell’avanzata fatta dal battaglione, il 6 ottobre 1918, incaricato di portare l’arma nella postazione vicino alle linee nemiche, nonostante ferito ad un braccio da colpo di fucile, sprezzante del pericolo e celando il dolore che gli cagionava la ferita, continuava impavido ad andare avanti, fino a raggiungere l’obiettivo fissatogli.Aisne Pont Arcy”
Diventano più chiare le notizie ricavate dal foglio matricolare che indicava nel 19 aprile del 1918 il trasferimento del 20° Regg.to Fanteria verso la Francia in territorio dichiarato in stato di guerra ed il rientro avvenuto il 6 ottobre 1918 per ferita. Sempre dal foglio matricolare si apprende del suo rientro al deposito del 20° Regg.to Fanteria in data 8 marzo 1919 e la licenza in attesa di pensione ottenuta il 2 dicembre dello stesso anno.
In data 16 agosto 1920 risulta “Pagato il premio di congedamento in £.150 a senso della Circ. N.114 G.M. 1919. Inviato in congedo assoluto perché riconosciuto permanentemente inabile al servizio Militare dal 16 agosto 1920 Disp. M.le N. 657867 del 23 giugno 1920. Concessa dichiarazione di aver tenuto buona condotta e di aver servito con fedeltà ed onore.”.
Le tristi vicende che seguirono negli anni successivi hanno offuscato la memoria di questa storia, ma negli atti del processo, la descrizione di nonno risulta perfettamente coincidente con la memoria trasmessa in famiglia.
”Invece unanime opinione di onestà e di agiatezza circondava il Salamandra, che menava vita ritirata e pacifica, descritta incapace di debiti e di atti di violenza, infinitamente buono. Puntuale nei pagamenti, incassava quotidianamente più di £. 100 e la sera di domenica, precedente al delitto possedeva nel suo portafogli circa £. 1450 perché era solito fare le maggiori riscossioni il sabato a fin di settimana. Aveva ancora un libretto di risparmio di £. 4mila, una pensione di guerra di circa £. 90 mensili della quale non aveva curato la riscossione da 5 mesi,un buono postale di £. 1000, la rivendita di carboni e una vantaggiosa colonia agricola del podere Angelini in società con i fratelli.”
Tale descrizione, necessaria per smontare l’alibi dell’assassino, è stata una sorpresa in quanto mi ha fatto riflettere su un aspetto dell’emigrazione da Ruscio verso Roma avvenuta proprio negli anni tra le due guerre. Non era per “fame” che si lasciava la propria terra ma per un desiderio di migliorare la sicurezza economica delle famiglie, di una crescita anche sociale cosa che è poi avvenuta anche se a prezzo di tanti dolori e sacrifici.