Nei lunghi ed oziosi pomeriggi trascorsi al prato del "Palazzo Peroni", finiti i giochi, noi cuginetti richiedevamo a gran voce a zia Maria o a nonna Carlotta, di raccontarci la storia di nostro zio Armando durante i terribili anni del secondo conflitto mondiale.
All’epoca riuscivamo a cogliere il solo aspetto eroico e, per cosi’ dire, romantico della vicenda. Poi, crescendo, ci siamo stupiti di quanto poco tempo sia trascorso da quegli anni di guerra e di sacrifici e quanto angosciosa fosse stata l’attesa di notizie per i familiari e per la moglie Maria.
Seduti intorno ad una delle due cognate, spose dei fratelli Alessandro e Armando, ascoltavamo una storia degna di un copione cinematografico.
Armando Peroni (a destra) con un commilitone
Armando nasce a Monteleone di Spoleto il 27 settembre 1910, penultimo dei cinque figli sopravvissuti di Paolo e Filomena Angelini. A ventuno anni compie i fatidici due anni di servizio militare, incorporato nell’8° Centro Automobilistico, con sede a Torino.
Tornato dal Piemonte, va a lavorare nel negozio di legna e carbone, aperto nei primi anni venti dal padre Paolo, di Via Oslavia a Roma, , che oggi, passato di padre in figlio, e’ il regno incontrastato del figlio del Capone (soprannome di Armando), Massimo (attuale Capone), e di suo figlio Cristiano.
Trasferimento in mare
Dopo 22 secoli sui "colli fatali di Roma" riappare l’Impero: con queste parole il duce, dal balcone di Piazza Venezia, annunciava il rinato Impero, cui il nostro Armando contribui’, combattendo in Somalia dal 1935 fino al dicembre 1937.
In Terra d’Africa (al centro)
Per accoglierlo a Napoli, porto dove Armando sarebbe sbarcato dopo 40 giorni di navigazione, per godersi una meritata licenza dalla terra d’Africa, partono da Roma, di notte, i fratelli Augusto e Alessandro, la madre Filomena e, trepidante per il prossimo abbraccio, la giovane fidanzata Maria.
L’arrivo era previsto per la prima mattina, ma un tragico incidente con un carro trainato da un cavallo costringe a ritornare precipitosamente a Roma, dopo un breve ricovero al pronto soccorso di un ospedale locale della mamma Filomena.
Lo sbarco del piroscafo avvenne il giorno successivo e Armando, non trovando nessuno a riceverlo, prende il treno per Roma. Appena in tempo per assistere la madre morente che, riconosciutolo, dopo qualche giorno muore.
Pochi anni dopo, il 16 Aprile 1939, nella chiesa di Ognissanti a Via Appia, Armando sposa Maria (Mammonati) e, terminato il classico viaggio di nozze trascorso tra Firenze, Bologna, Venezia e Milano, vanno ad abitare in una stanza in affitto, al piano superiore dell’appartamento di Via dei Gracchi 151 dove abitavano tutti gli altri fratelli, con spose e figli. Sembra, oggi, davvero impossibile: in un solo appartamento, vivevano, senza il piu’ piccolo screzio, tre generazioni di Peroni, nonni, figli e spose, e un nutrito numero di nipoti!
Scherzi con un commilitone (a destra)
A settembre dello stesso anno, viene nuovamente richiamato e rimane alla Caserma Macao in attesa di destinazione. Nel frattempo nasce Filomena, nota a tutti oggi come Mena. Partira’ per il fronte Francese inquadrato nella famosa Divisione Corazzata Littorio dopo la dichiarazione di guerra.
Conclusa la Campagna di Francia, viene destinato per il fronte Balcanico, fino al tragico 8 settembre, quando, preso prigioniero dagli ex alleati tedeschi, fu condotto in un campo di lavoro presso Vienna. Possiamo immaginare la preoccupazione di Maria, costretta a una lunga attesa prima di conoscere il destino di Armando. Nel dicembre del 1943, giunge, tramite la Croce Rossa, una prima cartolina, e sporadicamente altra scarna corrispondenza, ovviamente, censurata. A questi miseri segnali di esistenza, Maria risponde con pacchi pieni di generi alimentari e vestiario.
E ora, inizia l’odissea del prigioniero che, terminata la guerra con la resa tedesca, diventa prigioniero dell’Armata Rossa che, per prima giunge a Vienna. Nel luglio del ’45, Armando viene trasferito su carri bestiame piombati, fino al confine con l’Unione Sovietica.
Attraversare quel confine, significava, una lunga prigionia dall’incerto ritorno. Ma la buona sorte fa si’ che proprio quel treno inverte, miracolosamente, la rotta e, dopo un viaggio di 40 giorni, viene preso in consegna dagli Americani.
Ad Agosto del ’45, torna, dunque, a Roma, senza avere piu’ notizie, da parecchi mesi, dei propri familiari, della loro salute e situazione; sceso dal treno si rivolge subito ad un compaesano, a Simone e Orlando Angelini che, a Via Volturno avevano un negozio di carbone e legna.
Questi, lo tranquillizzano e telefonano al fratello Alessandro che, insieme alla moglie Carlotta, era rimasto a Roma, mentre il resto della famiglia, compresa Maria e la piccola Mena, si erano trasferiti a Ruscio, per il periodo estivo.
Per avvisare del ritorno inaspettato di Armando, telefonano a Rieti, ad un amico di famiglia, un certo Margheritelli che, immediatamente, parte per Ruscio, mentre Alessandro, Carlotta e Amando, a loro volta, si mettono in macchina alla volta di Ruscio.
Non ci sono parole per descrivere le sensazioni che i protagonisti di questa vicenda devono aver provato! E ancor di piu’ quando, nella oscurita’ della notte incombente, prima di Rieti, si incontrano due autovetture, quella di Armando e quella che porta la moglie Maria e la figlia Mena!!
Non sbagliavamo, noi cugini, a ritenere questa scena, la degna conclusione di un film di guerra e di amore?
Grande festa a Ruscio, nel Palazzo, e grande emozione a tal punto che, tuttora, Gabriella, Renato e gli altri nipoti ricordano un uomo a loro sconosciuto, magro e macilento che, seduto a capotavola, teneva sulle ginocchia la spaurita Mena.
I grandi patimenti sofferti, la fame, il freddo, minarono la salute di Armando che, nonostante tutto, a bordo della sua bianca Simca, ci portava ogni anno a fare le fragole sul monte Aspra.
Mori’, per un tragico incidente nel maggio del 1979, lasciando di se’ il ricordo di un uomo buono, attaccato alla sua famiglia e al suo amato paese.