Cosi’ è anche per il nostro Fabrizio Vannozzi che pubblica il suo (primo, speriamo) libro di poesie nel dialetto che più gli risulta congeniale, quello trasteverino, contaminato da quel po’ di umbro sopravvissuto alla globalizzazione romana di Ruscio.
Proprio nella introduzione – tutt’altro che celebrativa, come spesso siamo abituati a leggere, Fabrizio anzi ingenuamente nel rigirarsi tra le mani il primo volume uscito dalla tipografia, esclama: “chi ‘avrebbe mai detto”! – l’Autore ci fa partecipi degli ingredienti necessari al suo poetare: “Sarà la pace che fa da padrona, sarà l’aria leggera….non so…il posto è magico ti aiuta a tirar fuori ciò che hai dentro. Si mescolano sensazioni ed emozioni, entrano in gioco i sentimenti. La testa si libera dalle scorie della città, e così basta prendere una penna ed un foglio e scrivere.”
L’Autore, Fabrizio Vannozzi
Già, Ruscio sembra stimolare proprio la vena poetica. Su tutti l’esempio di un altro Vannozzi, Federico, che in ottava rima, ci racconta della terribile esperienza bellica. Ci piace pensare che la trasposizione in rima della sua vicenda l’abbia fatta proprio a Ruscio.
Certo, per far nascere la poesia a Fabrizio serve necessariamente Ruscio ma c’è bisogno anche di una buona dose di talento come il grande Alfiero Alfieri, uno degli attori più prolifici del teatro dialettale romano, testimonia in prefazione: “Se pensa che esse ‘n Poeta è ‘na scienza…ma manco / pè gnente, a Poesia a da nasce dar còre e solo così le / parole te vengono a la mente e la rima nasce spontanea. / Li racconti dè ‘sto libro so così sinceri che te pare dè viveli. / Comprimenti caro Fabrizio er talento c’è… / er còre puro… continua a facce emozionà”
Di emozioni ci parla la poesia di Fabrizio, piccole e grandi, dallo stupore nel guardare un bambino (Nun ce sia cosa più bella / de dù manine delicate /chiuse a pugno e profumate), alla grande paura del terremoto (preoccupati e ‘n po’ ‘n pauriti pè via dè quel’ evento… / de cui nun vojo manco cità er nome / ce ricorderebbe lo spavento…), la nascita di un affetto (le lucciole che viaggeno pè li prati e du cori… da stasera più / vicini…), la passione per la storia e tradizione ritrovata anche in un portone (Portoni come questi stanno ‘n via d’estinzione / fatti a mano e lavorati / cò passione e dedizzione), alla invettiva contro il prepotente (Pijatelanderculo a chi se sente superiore / pare che stà su ‘no scalino / pochi fatti e tanto rumore)
Illustrazione di Francesca Anglani
Poi il ricordo delle persone care che non ci sono più, vere e proprie icone di un Ruscio che pian piano sparisce: per Norma (Se dice che… quanno uno more poi diventa Stella / noi te vedemo lì …ar fianco dè la Luna /che brilli più dè tutte… e dè tutte sei più bella!); per Lillo (Pè te che ‘n mezzo ar bosco…tornavi ragazzino / t’ ho visto soridente / co ‘n mano ‘n ber porcino); per Angelo Peroni (‘N omo che l’estate nun ciaveva tante pretese / a lui bastava annà ar paese) per Battista (Da la forza incontenibile / pè l’amichi e la famija /eri sempre disponibbile); per Angelo Cardilli (Perché a Ruscio eri ‘na persona dè spicco / dè saggezza umorismo e curtura eri ricco); per Osvaldo (Perché tu dè Ruscio nostro eri innamorato / ‘gni scusa era bona per scappà da Roma…chiamà l’amichi… / e tornà ner posto in cui eri nato) e tanti altri.
Il tutto impreziosito dai bellissimi bozzetti di Francesca Anglani che sembrano fare eco ai versi illustrati e che abbelliscono questo numero de “La Barrozza”.
Complimenti Fabrizio per la tua poesia, per il tuo amore per questo paese, per il tuo impegno nel Comitato Pro Campetto (‘N campo piccolo… ’n campetto / a cui grazzie a lui avemo legato ricordi e tanto affetto) cui hai destinato il ricavato della vendita di questo libro.