Ultima, minima, nascosta. Rescia, la frazione. Parte di un tutto, come vuole il significato della parola; in realtà avulsa e slegata da tutto, un corpicino a se stante.
La sottrae alla vista il profilo del monte Cornuvolo, che si è preso il compito di fedele custode di una intimità di territorio. Puoi scorgerla soltanto da una particolare angolazione, ma devi salire lassù, alla “Madonna delle Grazie”. E’ qui che si recupera il legame di visibilità con le consorelle maggiori e con il capoluogo.
Ridiscendere da quella quota, sentirsi a poco a poco pressato da un desiderio, da un interesse. Andare…in un pomeriggio d’agosto. Attraverso in macchina il ponte sul fiume Corno, lenta l’andatura.
S’intravede a destra la neonata diga, in paziente attesa delle acque. Più avanti, una targa in legno propone una frase di un grande poeta latino. La strada prende a salire per qualche chilometro; uno slargo, le prime case. Lascio la macchina, un rapido sguardo all’intorno. Da un lacero manifesto è ancora leggibile il nome del nuovo sindaco di Monteleone.
Muovo pochi passi verso l’unica panchina, con la sensazione di entrare in casa di sconosciuti senza aver prima bussato alla porta. Rivolgo un saluto, quasi un permesso a sedermi accanto a lui: un vecchietto raggrinzito. Che subito chiede: “Chi sei, da dove vieni?”. Mi sforzo, nel rispondere alla duplice domanda, di rimanere nel vago. Stringe nella mano destra l’impugnatura obliqua di un leggero bastone. Chiedo della sua età: “Ottantuno…ottantatré”.
C’è incertezza. Da un cenno della signora che siede accanto alla panchina afferro di dover aggiungere qualche anno in più. In pochi tocchi i suoi trascorsi lavorativi nella Capitale, in gioventù, poi il ritorno da queste parti. Un tono di voce contenuto, lo sguardo sempre in avanti.
Uno sfogo di pensieri.
Lo affligge un presentimento: “Il bosco ci mangia…qui non c’è il pallone…non c’è la bicicletta…mancano i giovani”. Più in alto un uomo di mezz’età entra ed esce più volte da un prefabbricato, appoggiandosi a una stampella. Non uno sguardo, non un’attenzione verso di noi.
Il vecchietto riprende con una rassegna dei tempi. Da un tenero amarcord: “Ai tempi de Mussolini…qualcuno…ogni tanto ammazzava”; all’attualità: “Oggi…s’ammazzano tutti i giorni”. “Berlusconi…una brava persona”, soggiunge. Pausa prolungata. Rifletto. Questa Tv tiene in piedi queste “anime”; com’è lontano Gogol.
D’improvviso, con decisione: “Ma tu torni?”. Prometto. Mi muovo verso le ultime case. Ti aspetti che un gatto ti attraversi, sornione, la stradina; l’orecchio teso a ricevere un rumore, una voce, un suono in uscita da una finestra, da una porta. Tutto tace.
Ritrovo la donna di prima che ritmando con un ramoscello sul pendio sassoso, spinge nel recinto le poche galline. Il vecchietto è ancora lì, nella stessa posizione. Nell’avviarmi, lo saluto con un ampio gesto della mano. Quasi mi grida alle spalle: “Quando ritorni porta qualche femmina, così parliamo più a lungo”.
Si riapre l’orizzonte in vista della vallata. Di nuovo sul ponte del Corno. C’è animazione nel vicino campetto, vanto estivo di Ruscio, che tiene ben desta la propensione a ruoli d’avanguardia.
Con qualche forzatura. In prossimità del crocevia della miniera, agli antipodi dell’altra, la seconda targa in legno, anch’essa nell’antica lingua.
Un monito a non dimenticare. Risalgo in paese. Mi porto dentro il segno impresso da quell’intreccio di solitudine, di silenzio, di vita: Rescia